La saggezza del samadhi
del venerabile Ajahn Paññavaddho
© Ass. Santacittarama, 2005. Tutti i diritti sono riservati.
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Traduzione di Valeria D'Atanasio.
Ajahn Paññavaddho, britannico, discepolo di Luang Por Maha Boowa in Thailandia, è morto nell'anno 2004 dopo circa cinquant'anni di vita monastica.
NEL PROCESSO DI EDUCAZIONE DELLA MENTE bisogna sviluppare la saggezza; ma purtroppo per fare ciò non basta la volontà, il solo desiderio di saggezza. Alcune persone possono avere una saggezza innata, ma non riescono a tirarla fuori e usarla correttamente se non hanno anche abbastanza consapevolezza per sostenerla e controllarla. La saggezza non è solo pensiero intellettuale. La sua natura è un’altra, essa può sorgere solo da uno stato di calma interiore. Quindi, condizione necessaria per l’allenamento mentale è raggiungere uno stato di calma.
Samadhi, lo stato di calma raggiunto tramite la meditazione, ha più livelli a seconda del grado di assorbimento di citta nell’oggetto di meditazione. La parola citta vuol dire mente, cuore e consapevolezza, è il fulcro di una persona; tutto il resto, inclusi i cinque khanda, è secondario.
Chiunque voglia raggiungere la saggezza, e uno stato di felicità più alto di quella normalmente possibile in questo mondo, deve sviluppare la pratica di samadhi. Se si è ottenuto il samadhi la via per lo sviluppo della saggezza diventa chiara.
Sviluppare samadhi può essere riassunto così. Normalmente il cuore è affamato, vuole sempre qualcosa ed è in continua ricerca; l’unico modo che conosce è cercare attraverso i sensi, nel mondo, perché questo è ciò che ha imparato. Vuole una cosa, ne cerca un’altra, vuole ascoltare quello, trovare quell’altro e così via, tutto il tempo. È costantemente fuori, ma quello che trova nel mondo e quello che ottiene facendo così non soddisfa mai la sua fame, al contrario tende ad aumentarla. Il cuore dopo tutto questo cercare è ancora affamato.
La via per soddisfare il cuore non è quella di andare fuori, ma nella direzione opposta. Si deve distogliere l’attenzione dagli stimoli sensoriali, memoria e pensieri, sia discorsivi che allegri. Si deve dare alla mente meno cose possibili a cui attaccarsi. Si permette all’attenzione di concentrarsi solo sugli oggetti della meditazione come la ripetizione di “Buddho” o l’osservazione del respiro. Si dà alla mente quest’unica cosa a cui aggrapparsi, come un’ancora.