Un episodio che ricordo sempre con
grandissimo piacere è quello relativo al mio incontro con François Saint
Bris nel castello di Clos-Lucé, ultima dimora di Leonardo da Vinci
che lì visse, ospite del re di Francia Francesco I, dal 1516 fino alla
sua morte nel 1519.
La famiglia Saint Bris è proprietaria
del castello (e del parco circostante) avendolo acquistato oltre 200
anni fa direttamente dal re di Francia.
Questo mi fu detto personalmente da
François Saint Bris durante la mia permanenza al castello, durata due
giorni, come suo ospite. L’incontro non fu casuale.
A quel tempo, cioè circa 6 o 7 anni fa,
vivevo a Firenze in quanto direttore dei musei di Firenze e di
Sangimignano da me fondati insieme ad altre due persone.
Era naturale, per quel ruolo e per quel
contesto, incontrare personalità di particolare rilievo. In quel caso
specifico l’iniziativa fu mia. Telefonai dal museo di Firenze.......
Solo il tempo dello scambio di qualche
frase di presentazione e François Saint Bris, rompendo gli indugi, mi
invitò a prendere un aereo e a raggiungerlo.
Pochi minuti dopo la telefonata ne seguì un’altra con la quale gli comunicavo che sarei arrivato in aereo due giorni dopo.
Ricordo che Saint Bris apprezzò molto la
mia concretezza come io avevo apprezzato il suo signorile e generoso
invito. Arrivai a Parigi in compagnia di uno dei miei soci.
All’aeroporto prendemmo a noleggio una
macchina con la quale raggiungemmo dopo circa tre ore Amboise. Ricordo
perfettamente l’accoglienza.
Appena gli fu comunicata la mia
presenza, insieme a quella del mio socio, arrivò all’istante
accompagnato da tre o quattro suoi collaboratori. Una persona
squisitamente sobria e gentile dotata di un gesto di una naturalezza
veramente ammirevole.
Questa fu la mia impressione del primo
momento, un’impressione confermata in ogni istante di quegli
indimenticabili due giorni. Dopo i sorrisi e le strette di mano ci
incamminammo in direzione del parco. Sembrava che non avessimo uno scopo
e una meta. Avevo l’impressione che passeggiare fosse tutto ciò che
dovessimo fare.
Ma questo non mi dispiaceva affatto;
anzi, mi dava la strana sensazione di essere… come posso dire: “nel
posto giusto”. Veramente una sensazione molto particolare. Conversavamo
tranquillamente con l’aiuto di una bravissima interprete che sapeva
riferire ogni sfumatura, ogni intonazione delle nostre frasi.
Quasi per caso, ad un certo punto
incontrammo nel parco una lunga tavola imbandita. Ci vennero incontro a
salutarci piacevolissime persone, uomini e donne, vestite con abiti
rinascimentali assolutamente perfetti. Un’organizzazione così perfetta e
così apparentemente casuale non l‘avrei mai immaginata possibile.
Sedemmo alla tavola. Fu come varcare
una soglia temporale. Cominciai a parlare di Leonardo con i toni di una
piacevole e abituale conversazione. Dicevo di quello che aveva fatto in
quel luogo, di come si muoveva, di quello che pensava.
Di tanto in tanto correggevo qualche
convinzione errata di François Saint Bris che sembrava sinceramente e
piacevolmente stupirsi delle cose che aggiungevo alle sue conoscenze.
Tutto questo mentre arrivavano in continuazione pietanze rigorosamente
rinascimentali con certi sapori che sembravano appartenermi da sempre.
Una magia, una rappresentazione vivente di una favola fatta di una
realtà sovrapposta ad un’altra, un momento intersecante un altro.
Dopo il pranzo riprendemmo la
passeggiata nel parco. Ogni tanto si incontrava una piazzola circondata
da verde. Ciascuna era attrezzata con sedili che suggerivano
efficacemente l’idea di una breve sosta.
E subito l’incanto di una voce suadente,
quella di Leonardo che da qualche parte veniva non necessariamente per
insegnarti, neanche per essere memoria letteraria ma semplicemente per
trasportarti altrove rendendo diverso e più ricco il semplice riposo di
un minuto.
Dopo aver incontrato qui e là ponticelli
e grandi macchine di Leonardo in un grande spazio avvolto da una
inviolabile atmosfera da sogno, resa ancor più compiuta dal delicato
fruscio di grandi stampe fra gli alberi, raggiungemmo, apparentemente
senza volerlo, un padiglione di cui non era ancora finito il restauro.
François Saint Bris mi disse che quel luogo era destinato a progetti
riguardanti Leonardo non ancora ben definiti e che, pertanto, volentieri
mi avrebbe riservato tutto il piano superiore se per caso ne avessi
avuto uno già pronto, o se ne avessi elaborato uno riguardante Leonardo
come architetto e anatomista. Tutto scorreva in modo semplice e diretto.
Nonostante gli infiniti impegni e
responsabilità legati alla conduzione di quel luogo François non mi
lasciò mai neanche per un minuto. E così fu fino alla mia partenza che
non avvenne senza una vena di nostalgia. La visita continuò senza
fretta. Somigliava sempre di più a qualcos’altro.
L’ incontro come occasione per possibili
“affari” sembrava non essere mai decollato. Fin da subito, e man mano
sempre di più, sembrava piuttosto una sorta di “rivisitazione di luoghi
per il risveglio di un’antica memoria”. Giungemmo al castello. Fu una
buona occasione per portare, sia io che il mio socio, i bagagli nelle
stanze che ci erano state assegnate e che si trovavano al primo piano,
non lontano dalla leggendaria stanza da letto di Leonardo.
Il primo giorno si concluse con una
cena “sobriamente regale” allestita con un piccolo tavolo sistemato
all’aperto, in uno spazio prossimo al castello, circondato da candelabri
con molti bracci messi anche sul muretto e per terra.
Su di esso erano sistemate con casuale
abbondanza ancora pietanze esclusivamente rinascimentali, presentate
dentro piatti e vassoi che rievocavano facilmente la normalità dei fasti
di un’altra epoca mai veramente scomparsa. Io, in quel buio luccicante,
non vedevo altro che i segni dell’unicità ed irripetibilità di certi
momenti della vita, specialmente di una vita come la mia.
Il giorno dopo, François mi mostrò ogni
angolo del castello, le sale delle grandi macchine di Leonardo, il book
shop, gli altri ristoranti presenti nel parco che non avevo ancora
visto (ne erano quattro).
Aperitivi, ancora un pranzo, ancora la
cena. Una cena molto intensa, sia perché l’ultima sia perché ricca di
tante osservazioni interessanti e profonde. Forse, fu quello il momento
saliente del nostro incontro, dove tutti i convocati erano presenti: noi
due, altre persone (l’interprete e il socio) anch’esse intensamente
partecipanti, la stupenda serata, le nostre storie personali, quel mondo
intimo di ciascuno riservato per le grandi occasioni, ironie
intelligenti, progetti, promesse, visioni.
E proprio di una mia visione gli parlai a
lungo. Gli dissi che tutto quello che stavamo vivendo, nei minimi
dettagli, lo avevo già visto come qualcosa che mi sarebbe prima o poi
realmente accaduto. Era la verità, e né sarebbe potuto essere
diversamente in quanto la verità è l’unica cosa che mi diverte sul
serio. Aggiunsi che una parte della visione, però, era sicuramente
sbagliata perché mai si sarebbe potuta realizzare.
La parte sbagliata era che avrei dormito
nel letto di Leonardo. Gli dissi che mi rendevo conto dell’assurdità
della cosa e che mi dispiaceva, non certo per una cosa che non si
sarebbe mai potuta realizzare, ma per il fatto che rendeva gravemente
imperfetta la mia bella visione per gran parte cosi autenticamente
profetica. La serata continuò piacevole fino al momento del congedo.
Tutto perfetto.
Salutai, e François rispose al saluto
aggiungendo:”dove dormirai stanotte?” Ed io:”Nella stanza di Leonardo,
naturalmente?”. – “Allora, dò disposizioni per il trasferimento della
tua roba in quella stanza”. Stava dicendo sul serio. Non ci potevo
credere, stava veramente dicendo sul serio. Aggiunse, mostrando di
tenere molto alla precisazione, che nessuno l’aveva ancora mai fatto.
A nessuno gli era stato mai concesso.
Neanche a lui. Il padre, infatti, gli aveva respinto lo stesso
desiderio, ammonendolo, per giunta, severamente per la richiesta
superficiale e irriguardosa. Non sapevo proprio cosa dire. Non mi
veniva in mente niente che potessi fare per lui e che fosse all’altezza
di ciò che mi stava offrendo.
Ma poi qualcosa mi venne in mente. Avevo
già annunciato alla stampa il mio tentativo di volo con una macchina di
Leonardo fatta di legno e stoffa, un tentativo senza trucchi
(contrariamente al solito). Gliene parlai velocemente e gli dissi che
gliel’avrei dedicato pubblicamente, un attimo prima dell’impresa.
François ne fu felice e aggiunse che sarebbe stato presente al tentativo
ovunque l’avessi effettuato. Tutto molto bello tranne per il fatto che
non ho saputo mantenere quell’impegno. Speravo, anzi, ero certo di
trovare facilmente uno sponsor ma non è stato così.
Per un’impresa del genere ci vogliono
soldi che non avevo. Inoltre certe mie scelte di vita mi hanno
allontanato da quelle sfide per me abituali tenendomi molto impegnato
su altre. Devo delle scuse a François. Sono convinto però di essere ora
nelle condizioni di potergli offrire qualcosa di equivalente a quel
gesto, un gesto non solo apprezzato ma anche molto amato.
Quella notte dormii nella stanza di
Leonardo da Vinci. La stanza è un museo ed è custodita da molti allarmi
che il buon François da solo non avrebbe mai saputo disattivare.
Durante la cena, senza che io me ne potessi accorgere aveva dato
disposizione ad un suo fedele dipendente per la loro disattivazione. Ma
anche per il dipendente, solo un po’ più esperto di lui, la cosa non
sarebbe stata né semplice né scontata.
Ma tutto alla fine era andato per il
meglio. François Saint Bris ha potuto avere il piacere di farmi un
regalo che sapeva molto gradito ed io vivere qualcosa che non saprei o
che forse, in fondo, non ho nessuna vera intenzione di definire.
Credevo che non mi sarei addormentato e,
invece, ho dormito un unico sonno fino al mattino. Appena sveglio la
mia prima e unica occupazione fu quella di passare e ripassare in
rassegna infinite volte ogni oggetto presente nella stanza. Fotografare
nella mente ogni loro misura, forma, materiale. E così anche per le
finestre, le porte, il soffitto ecc. Ancora pochi minuti e avrei
dovuto lasciare per sempre quella stanza che era stata anche mia per una
notte. Avevo il terrore che tutto svanisse come svanisce qualsiasi cosa
comune.
Questo non doveva accadere, non me lo
sarei mai perdonato. Mentre immerso nella luce di penombra ero applicato
alle operazioni di registrazione mentale di tutto ciò che cadeva dentro
il mio campo visivo, improvvisamente irruppe nella stanza una donna
evidentemente addetta alle pulizie del museo con un potente
aspirapolvere già in funzione. La cosa in sé sembra una banalità,
qualcosa di scarsamente rilevante, ma non é esattamente così.
Quella donna stava avvicinandosi sempre
di più al mio letto, o meglio al letto di Leonardo e non osavo
immaginare che cosa sarebbe successo nel momento in cui mi avesse visto
disteso lì dentro. Anche se avessi anticipato il suo arrivo alla sponda
del letto facendo notare la mia presenza dicendo qualcosa, niente
garantiva che non sarebbe stramazzata a terra per la paura.
Ero molto indeciso sul da farsi. Nel
frattempo cercavo di valutare la capacità di resistenza della donna ad
un forte spavento prendendo in esame la sua età, il suo probabile grado
di salute; mentre dai suoi movimenti con l’aspirapolvere cercavo di
intuire il carattere, il temperamento, ecc., tutti dati che mi
sarebbero tornati utili per la mia decisione.
Era una donna di una certa età ma mi
sembrò robusta, anche mentalmente. Così decisi di dire qualcosa. Ma
cosa? Non avrei potuto certo dire :”Ehi, salve!”. Ci voleva
qualcos’altro ma non solo, perchè una cosa era certa: qualunque cosa
avessi deciso di dire dovevo dirla in fretta e in francese. Erano ormai
veramente tanti gli anni da quando avevo detto l’ultima frase in
francese ma alla fine riuscii a confezionarne una a cui affidare le
sorti di quella situazione. La ripetei molte volte mentalmente prima di
pronunciarla.
Quando, poi, mi sentii pronto chiusi
gli occhi e lo feci:” Je suis, un ami de François Saint Bris. Je
m’appelle Michele”. Non so come ci riuscii a dirla in fretta senza
sbagliare, ma ci riuscii. Una volta lanciata la frase non mi rimase che
aspettare l’effetto. La donna si paralizzò di colpo. Furono attimi
interminabili.
Poi si voltò senza dire una parola e se
ne andò tirandosi dietro l’aspirapolvere come se cercasse in quel
momento più che mai la sua compagnia. Tirai veramente un profondo
sospiro di sollievo. E una volta che il peggio era passato non vedevo
l’ora di raccontarlo, specialmente a François Saint Bris. Ridemmo di
quello e ci commuovemmo per altro. Poi, le promesse, i saluti.
Forse non è esagerato dire che ci lasciammo anche con un po’ di affetto, almeno da parte mia fu così.
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