Il sapere e' potere
Inps al collasso. Addio pensioni
30 marzo 2013 - VALERIO LO MONACO
(ilribelle.com) - Una azienda con un patrimonio di 41 miliardi che nel giro di
un paio d'anni ne avesse persi così tanti da farlo scendere a soli 15, verrebbe
considerata sana oppure oppure desterebbe se non altro l'interesse di andarne a
capire il motivo? E ancora di più: nel caso in cui questa "azienda"
fosse di importanza fondamentale non solo per i suoi azionisti ma per l'intero
Paese del quale fa parte, sarebbe il caso, a livello informativo, di dare risalto
alla notizia e di farla entrare nel dibattito pubblico? Le risposte sono
scontate, ma le domande servono a introdurre l'argomento. Perché lo Stato del
quale parliamo è l'Italia, e l'"azienda" con questi conti disastrati
si chiama Inps.
L'istituto di
previdenza, infatti, aveva a fine 2011 un patrimonio di 41 miliardi, come
detto, il quale si è ridotto a soli 15 in 24 mesi. Ma è a livello tendenziale
che le cose peggiorano e destano ancora più preoccupazione.
Ci sono due elementi
importanti da tenere in considerazione più un terzo che è addirittura
determinante.
Inpdap profondo rosso
Il primo, motivo
principale di questo calo del patrimonio, è relativo alla fusione recente di
Inpdap e Inps, cioè il fatto che il sistema pensionistico del settore pubblico
sia stato fatto confluire all'interno di quello del settore privato (operazione
datata appunto 2012). La fusione di questi due enti era stata prevista
trionfalmente, comunicando che, per via dei tagli alle spese che tale
operazione avrebbe comportato si sarebbero risparmiate alcune centinaia di
milioni di euro. Cosa puntualmente ancora non verificata, visto che sia la
prevista gestione unica degli immobili dei due enti sia la razionalizzazione
del personale è ancora di là dal venire.
Nel frattempo, però,
questo matrimonio ha portato in dote al sistema pensionistico del settore
privato oltre 10 miliardi di rosso, contribuendo ad affossare ancora di più le
riserve originarie dell'Inps conteggiate a fine 2011.
Lo Stato moroso
Il secondo dato
allarmante contiene una riflessione interessante, visto che, come si dice, a
pensar male si fa peccato ma spesso ci si prende. Dunque, il grande buco
dell'Inpdap - che, ribadiamo, era l'ente pensionistico dei dipendenti del
settore pubblico - dipende direttamente da un elemento chiave: le pubbliche
amministrazioni, da tempo e in modo diffuso, non stanno pagando del tutto i
contributi pensionistici dovuti dei propri dipendenti. Si tratta di una somma
stimata in circa 30 miliardi, che grava ovviamente sul bilancio già fortemente compromesso
dello Stato ma che, attenzione, non è ancora stato messo agli atti, visto che
proprio mediante la fusione con l'Inps è stato, per il momento, occultato.
Ora, già il fatto che
le amministrazioni pubbliche non stiano versando tutti i contributi dei
dipendenti, cioè che lo Stato sia moroso verso se stesso e i suoi dipendenti, è
cosa che dovrebbe chiarire da sola la situazione generale. Ma che ora - ed
eccoci alla riflessione poco ortodossa accennata poc'anzi - vi sia stata questa
misura di accorpamento tra Inpdap e Inps fa venire più di qualche dubbio. È
come se - meglio: è - lo Stato avesse scelto di prendere un proprio ente in
forte deficit (nel quale da una parte doveva far confluire alcune proprie
spese, cioè i contributi dei dipendenti, e dall'altra far uscire altre spese,
cioè l'erogazione delle pensioni) e lo avesse inserito, come un cavallo di
troia malefico, nell'altro ente (l'Inps) in cui sono i privati a far confluire
i propri contributi per unire il tutto in un calderone, prossimo al collasso,
sul quale far gravare un fallimento complessivo. Tra un po', in altre parole,
siccome l'Inps, con il patrimonio così drasticamente intaccato e con i conti
tendenziali in rosso, non potrà più erogare le pensioni, si prenderà atto della
cosa dimenticandosi che buona parte di questo scenario catastrofico dipende
proprio dai mancati versamenti del settore pubblico.
Baby boomers
all'incasso (forse)
Il terzo elemento,
anche in questo caso assente dal dibattito e dalle analisi attuali, risiede
nella constatazione che proprio in questi anni, e per il prossimo quinquennio,
c'è una enorme fetta del Paese a dover andare in pensione. Si tratta della
generazione dei baby boomers. Di quelli, per intenderci, che negli anni
Settanta tentarono la "rivoluzione" più celebrata che concreta. E
che, "una volta al potere", al posto delle rivoluzioni si sono invece
premurati di mettere al riparo i propri meri interessi. Oggi, in età
pensionistica, appunto, sono in procinto di passare all'incasso. Se questa
massa di persone fosse messa in grado di andare dritta in pensione così come
giustamente previsto, l'Inps crollerebbe in modo definitivo nel giro di qualche
anno appena. Ribadiamo, infatti, che già a fine 2013 il bilancio complessivo
dell'Inps è atteso a poco oltre 15 miliardi. Dai 41 di fine 2011.
Non solo: tutte le
operazioni relative al sistema pensionistico degli ultimi anni a questo punto
possono - e devono - essere interpretate alla luce dei dati che ora stanno
venendo fuori, ma che evidentemente già anni addietro erano ben presenti
all'interno degli ambienti politici. Nel luglio del 2010, sul Mensile,
pubblicammo questo articolo: "In Pensione a 100 anni" . Oggi bisogna
aggiornarlo. Il tentativo neanche troppo velato, almeno per chi voglia
accorgersene, è quello di evitare proprio che persone possano andare in
pensione. Il che si applica facendole lavorare il più a lungo possibile,
spostando sempre in là la data in cui sarà possibile andare in pensione. Con
questo si otterrà il risultato di aver fatto lavorare tutta la vita le persone,
facendogli versare montagne di contributi, sino al punto in cui avranno davanti
ancora pochissimi anni, una volta andate in pensione, per avere indietro dallo
Stato solo una piccola parte di quanto versato. Sempre che non muoiano prima sulla
scrivania del proprio posto di lavoro.
I giovani sono
completamente fuori
Parallelamente, il
fatto che così tante persone non possano lasciare il posto di lavoro sino di
fatto alla vecchiaia comporta anche l'assoluta mancanza di turnover, e dunque pochissimo
accesso dei giovani al mondo del lavoro. Come stiamo puntualmente verificando.
Questi, già penalizzati dalle riforme Fornero sul lavoro che hanno aumentato le
già elevate sperequazioni precedenti, tra contratti da fame a 500 euro al mese
e senza alcuna possibilità di accedere a un posto di lavoro degno di questo
nome, in ogni caso, ora e domani, non saranno comunque in grado di versare
contributi in quantità bastante a pagare le pensioni di chi, via via, in
ritardo e alla fine, comunque (per ora: almeno secondo le norme attuali) in
pensione poco alla volta ci sta andando.
Il tutto,
naturalmente, contribuisce a peggiorare il quadro già disastroso dell'Inps.
Dobbiamo a questo
punto necessariamente correggerci. A destare preoccupazione sono le cose
incerte. Mentre qui si può tranquillamente parlare di una certezza: l'Inps sta
finendo nel buco nero statale e dunque le pensioni non potranno essere più
erogate a breve. Molto a breve, a meno di stravolgimenti sistemici (uscita
dall'Euro e ripresa della sovranità monetaria, ad esempio) che per ora comunque
non sono all'orizzonte. Il che apre scenari non preoccupanti, ma terrorizzanti.
Nel silenzio generale di chi sa ma non vuole far sapere.
Valerio Lo Monaco
Fonte:
www.ilribelle.com
Link:
http://www.ilribelle.com/la-voce-del-ribelle/2013/3/26/inps-al-collasso-addio-pensioni.html
26.03.2013
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11669
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