Un giro d’affari da due miliardi di dollari l’anno sulla pelle dei cetacei sfruttati per il divertimento di massa e costretti in cattività nonostante i numerosi casi di suicidio. L’interesse e lo sconcerto per le sofferenze e le atrocità dietro il sipario sono venuti alla ribalta della cronaca, non certo con il giusto clamore, dopo la produzione del documentario “The Cove”, premio Oscar nel 2010, dove si raccontano le tecniche di rapimento dei delfini negli oceani, la separazione dalle loro madri tra grida di angoscia e i massacri di quelli che non sono adatti agli spettacoli negli acquari. Nella laguna di Taiji, in Giappone, avviene la cattura di questi cetacei per cui vengono pagati anche 150.000 dollari ad esemplare, il tutto per arricchire il mercato occidentale attraverso la caccia a 23.000 delfini ogni anno.
Nel documentario/denuncia ha recitato anche Richard “Ric” O’Barry “, protagonista del film Flipper, che ha dedicato una vita alla difesa dei delfini e alla lotta contro ogni forma di cattività. Ric O’Barry aveva catturato e allenato i cinque cetacei protagonisti del film; la svolta quando uno degli esemplari, Kathy era morta tra le sue braccia. Un suicidio. Da quel momento libri, reti tagliate per liberare i mammiferi e la costituzione di un’associazione per la denuncia dello sfruttamento che coinvolge delfinari, acquari e la stessa produzione cinematografica.
In Spagna numerose personalità del mondo del cinema e della cultura si sono schierate contro lo sfruttamento dei cetacei nell’industria crudele degli spettacoli, con la complicità della mafia giapponese. Tra questi il regista Bigas Luna e altre personalità, come Fernando Tejero, Marina Salas, Macaco, Nuria Gago, Nathalie Seseña
I suicidi di delfini e orche sono denunciati da decenni da numerosi scienziati marini. Lo stress e la depressione dovuti alla limitazione degli spazi e il sogno dei non-confini dell’oceano, l’impossibilità di percorrere chilometri al giorno seguendo i loro istinti, l’assenza di discese nelle profondità marine, compromettono la stabilità emotiva dei cetacei, condannandoli alla morte nel giro di due anni e a uno sconvolgimento dello stesso ecosistema marino. Già negli anni Settanta erano stati denunciati numerosi casi di suicidi di orche che si erano lasciate morire di fame dopo 75 giorni dalla cattura e lo stesso comportamento era stato osservato nei delfini. Come aveva raccontato il famoso oceanografo Jacques Cousteau, molti esemplari erano morti dopo aver battuto la testa contro il muro in maniera ripetuta, agonizzando e annegando nel giro di poco tempo.
Ancora scarsa informazione sulle atrocità perpetrate nel nome degli affari, la speranza che l’esempio della Spagna nei giorni scorsi sia solo l’inizio di un lungo percorso di civiltà.
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