Nuovi metodi di cura per la depressione
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La depressione può essere trattata per mezzo di nuovi approcci terapeutici basati su nuove ricerche.
Ricercatori statunitensi sostengono di aver trovato
nuovi metodi, e alternativi ai più comuni psicofarmaci, per la cura della
depressione. Lo studio che indica una nuova via da percorrere nel trattamento
del male oscuro.
Per
trattare la depressione non esistono solo psicofarmaci come quelli che agiscono
sull’inibizione dei neurotrasmettitori. Anche se questi sono i metodi più
diffusi e più d’impatto, non sono efficaci con tutte le persone. Secondo i ricercatori della Loyola
University e dell’East Liverpool City Hospital dell’Ohio vi sono infatti delle
tecniche e altri farmaci che possono essere efficaci nel trattamento di questa
vera e propria malattia, definita “il male oscuro”.
Secondo il dott.
Murali Rao e la dott.ssa Julie M. Alderson le alternative ai più comuni
psicofarmaci sono la stimolazione elettrica e magnetica del cervello, la terapia
cognitivo-comportamentale a lungo termine per la gestione dello stress e
soprattutto una nuova generazione di farmaci che non abbia come bersaglio i
neurotrasmettitori.
I farmaci che agiscono sui neurotrasmettitori sono stati
creati perché per oltre 50 anni si è pensato che la depressione fosse causata da
una carenza di questi messaggeri chimici che trasportano i segnali tra le
cellule cerebrali. Questi farmaci agiscono aumentando il rilascio o bloccando la
degradazione di neurotrasmettitori come dopamina, noradrenalina e
serotonina.
Ma la ricerca non può fermarsi, ed ecco perché i ricercatori
hanno voluto guardare oltre l’azione sui neurotrasmettitori per comprendere come
si sviluppano la depressione e i disturbi depressivi.
Le nuove teorie sulla
depressione si stanno infatti concentrando sulle differenze di densità dei neuroni in varie regioni
del cervello, sugli effetti dello stress sulla nascita e la morte delle
cellule cerebrali, sull’alterazione dei percorsi di feedback nel cervello e sul
ruolo dell’infiammazione cerebrale causata dalla risposta allo stress.
E
proprio lo stress cronico si ritiene possa essere implicato in prima persona
nello sviluppo della depressione, poiché questa situazione a lungo andare
danneggia le cellule sia del corpo che del cervello. Le esperienze stressanti,
specie se ripetute, si pensa siano strettamente associate con lo sviluppo di
alterazioni psicologiche che possono sfociare in disturbi neuropsichiatrici veri
e propri.
Gli scienziati hanno osservato che in condizioni di stress cronico sono le cellule nervose
dell’ippocampo a soffrirne, iniziando ad atrofizzarsi. L’ippocampo, lo ricordiamo, è la
regione del cervello associata alla memoria, all’apprendimento ma soprattutto
alle emozioni.
Gli autori dello
studio, pubblicato sulla rivista Current Psychiatry, hanno sottolineato che le nuove teorie
sulla depressione e le cause non dovrebbero essere viste come entità separate,
perché sono altamente interconnesse, e la loro integrazione
prevede una comprensione più ampia della fisiopatologia della
depressione e dei biomarcatori
che sono coinvolti.
Questi biomarker sono molecole fisiologiche possono
essere utilizzate come veri e propri indicatori della malattia, e i ricercatori
ne hanno già individuati oltre una dozzina. Tra questi vi sono i regolatori
delle monoamine, le citochine proinfiammatorie e altri mediatori infiammatori,
mediatori dell’attività glutammatergica e l’attività GABAergica e, infine, i
regolatori della neurogenesi.
Partendo dunque da questi presupposti, gli
scienziati ritengono che la depressione possa essere trattata in modo più efficace e duraturo che non con gli approcci di
vecchia concezione.
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