QUANTISTICA – ECCO PERCHÈ L’ANIMA ESISTE, LA SPIEGAZIONE DI UN FISICO
Esiste
l’anima? Fino a qualche decennio fa, questa domanda era lecita solo
nell’ambito di una riflessione teologica. Oggi, invece, entra a pieno
diritto nelle domande fondamentali della fisica teorica. Henry P. Stapp,
fisico teorico presso la University of California-Berkeley, non vuole
dimostrare l’esistenza dell’anima, ma che essa si inserisce all’interno
delle leggi della fisica.
Quando parliamo di anima, siamo nel campo della metafisica o della fisica?
Prima dell’avvento della “fisica
quantistica”, tutto ciò che travalicava i confini del visibile, era tema
di ricerca della metafisica, ovvero quella disciplina che indaga sulle
cose “al di là” della fisica. Oggi, invece, all’indomani della scoperta
del bizzarro mondo dei quanti, ciò che non è visibile e che non è
determinabile è diventato oggetto di studio della fisica. Più
recentemente, alcuni studiosi hanno cominciato a inquadrare
pionieristicamente questioni come la coscienza umana, l’immortalità
dell’anima e la vita dopo la morte, come oggetti di studio all’interno
della fisica teorica.
Tra questi c’è Henry P. Stapp, fisico
teorico presso la University of California-Berkeley che ha lavorato con
alcuni padri fondatori della meccanica quantistica, secondo il quale
avere fede nell’anima non è ascientifico. Con la parola “anima”, lo
scienziato si riferisce ad una dimensione della persona umana
indipendente dal cervello o dal resto del corpo che può sopravvivere
alla morte. “I forti dubbi circa la sopravvivenza della personalità
oltre la morte, basate esclusivamente con la convinzione che sia
incompatibile con le leggi della fisica, sono infondati”, scrive Stapp
nell’articolo “Compatibility of Contemporary Physical Theory With Personality Survival”.
Stapp ha collaborato alla stesura dell’Interpretazione di Copenaghen
della meccanica quantistica, l’interpretazione della meccanica
quantistica maggiormente condivisa fra gli studiosi. Essa si ispira
fondamentalmente ai lavori svolti nella capitale danese da Niels Bohr e
da Werner Karl Heisenberg attorno al 1927, ricevendo una formulazione
meglio definita a partire dagli anni cinquanta.
Stapp spiega che i fondatori della teoria quantistica sostanzialmente hanno costretto gli scienziati a dividere il mondo in due parti: al di sopra del taglio, vi è la matematica classica con la quale è possibile descrivere i processi fisici empiricamente osservati; sotto il taglio, vi è la matematica quantistica che descrive un regno completamente al di fuori del determinismo fisico.
“In generale, si è compreso che lo stato
evoluto del sistema sotto il taglio non può essere abbinato a nessuna
descrizione classica delle proprietà visibili all’osservatore”, scrive
Stapp. Dunque, come fanno gli scienziati ad osservare l’invisibile?
Scelgono particolari proprietà del sistema quantistico, sviluppando un
modello per vedere i suoi effetti sui processi fisici “sopra il taglio”.
La chiave è la scelta dello sperimentatore. Il problema è che quando si
lavora su un sistema quantistico, la scelta dell’osservatore ha
dimostrato di influenzare l’andamento, con effetti visibili nel sistema
al di sopra del taglio.
Stapp cita l’analogia pensata da Bohr
per spiegare la curiosa interazione tra lo scienziato e i risultati del
suo esperimento: “È come un cieco con un bastone: quando il bastone
viene tenuto debolmente, il confine tra la persona e il mondo
corrisponde al divario tra la mano e il bastone; ma se il bastone viene
tenuto saldamente, esso diviene parte del soggetto: la persona sente che
egli stesso può estendersi fino alla punta del bastone”. Dunque, il
mondo fisico e il mondo mentale sono collegati in modo dinamico. La
spiegazione quantistica su come la mente e il cervello possono essere
separati, ma collegati con le leggi della fisica, “è una rivelazione
benvenuta”, scrive Stapp. Essa risolve un problema che ha afflitto la
scienza e la filosofia per secoli, con la scienza che vedeva la
necessità di equiparare la mente con il cervello, e la
filosofia-teologia, incaricatasi di considerare la mente come qualcosa
di indipendente dal cervello.
La Teoria fisica classica può solo
eludere il problema, e i fisici classici possono solo lavorare per
etichettare questa intuizione come un prodotto della confusione umana.
La scienza, continua Stapp, dovrebbe invece riconoscere gli effetti
della coscienza come un problema fisico. Inoltre, tale prospettiva,
secondo Stapp è indispensabile a conservare la moralità umana, spiegando
alle persone di essere qualcosa di più che semplici macchine fatte di
sangue e carne. In un altro articolo, intitolato “Attention, Intention, and Will in Quantum Physics”, Stapp scriveva:
“È opinione ormai ampiamente diffusa
nelle persone la visione scientifica secondo la quale ogni essere umano
è fondamentalmente un robot meccanico, prospettiva che rischia di avere
un impatto significativo e corrosivo sul tessuto morale della società”.
Fonte: ilnavigatorecurioso.it
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