La letteratura vedica ci offre una bellissima narrativa
illustrandoci il modo in cui il primo essere creato sperimentò il suono sacro.
Questo si collega con il profondo desiderio di unirci con le nostre aspirazioni
divine. Il primo essere creato, Brahma (la divinità dei Purana), si sentiva
insoddisfatto, seduto in solitudine sul fiore di loto della sua coscienza che
stava sbocciando. Brahma si mise ad ascoltare in quieta meditazione, cercando
di capire la ragione della sua esistenza e invitandola a manifestarsi.
Sintonizzandosi con la musica dell’universo, ‘vak’, ella apparve davanti a lui
come Sarasvati, la dea della musica e del sapere, offrendogli un valido
strumento per aiutarlo a concentrarsi dentro il suo cuore.
Questo strumento è il mantra che servì a liberare (tra) la
sua mente (manas) per raggiungere un livello di ricettività al suono sacro.
Quando il potere di ascolto divenne sempre più profondo, egli sentì il suo
cuore impregnarsi di shabdha brahman (il termine usato nelle Upanishad per
designare il divino), o il suono assoluto. Questo suono incantevole era quello
del flauto di Krishna, che nella sua potenza spirituale non differisce dall’OM,
il quale sbocciò dapprima nel gayatri mantra, poi nei quattro versi essenziali
del Bhagavata purana e successivamente nell’intero Veda! In tale modo la
ricerca del significato della vita e delle rivelazioni divine diventano
strettamente unite alla sperimentazione dei suoni sacri. I mantra ci preparano
a questa esperienza.
I mantra sono le chiavi della creazione. Le loro vibrazioni,
come le parole e la musica, sono infuse di energie creative specifiche.
L’antica scienza medica dell’Ayur Veda riconosce tre tipi di mantra che
corrispondono alle tre qualità caratteristiche della natura che permeano
l’universo fisico. I testi vedici descrivono questa energia costituita da suoni
come uno stampo, un progetto mediante il quale un suono assumerà una forma
fisica o mediante l’effetto che avrà sull’ambiente. Particolari codici sonori
informano la materia sull’aspetto che dovrebbe avere.
Le rappresentazioni
visuali dei mantra che comprendono colori specifici e strutture geometriche che
assorbono l’energia dei mantra sono chiamati yantra. Dagli yantra sono generate
altre forme. Qualsiasi oggetto materiale incontriamo, perfino ogni emozione sottile,
ha una controparte sonora. Alcuni yogi mistici riescono, in modo strabiliante,
a manifestare un oggetto fisico recitando un mantra il cui suono contiene i
semi per la creazione dell’oggetto. Noi abbiamo la stessa capacità mistica di
manifestare la nostra coscienza divina attraverso dei mantra dall’origine
sonora appropriata. Questa coscienza divina è dentro di noi, nel più profondo
del nostro essere.
La più potente esperienza del mantra divino accade quando
noi liberiamo la nostra mente nella sua manifestazione sonora attraverso una
recitazione costante: “Questa [rappresentazione verbale del Supremo] deve
essere ripetuta costantemente e il suo significato è percepito nel cuore”
(taj-japas tad-arthabhavanam, Yoga Sutra 1.28, traduzione del Dott. Graham
Schweig). Il saggio Patanjali incoraggia qui una continua e sentita ripetizione
del mantra divino, il quale invita l’essenza spirituale a manifestarsi nella
nostra esistenza.
I mantra sono di natura misteriosa ed eterna e hanno il
potere di tirare le redini dei nostri pensieri fluttuanti per attrarci nella
profonda e gioiosa esperienza dell’essere. I mantra sono le chiavi che aprono
il dialogo interiore naturale dell’anima con la divinità. Per una pratica yoga
che sia efficace, i mantra sono dunque essenziali. Quando vengono recitati ad
alta voce, con un accompagnamento musicale, insieme ad altre persone che
compiono le stesse pratiche (kirtana), oppure recitati in una meditazione
solitaria e devota (japa), l’intonazione dei sacri suoni nella forma dei mantra
è di una potenza unica e insuperabile allo scopo di elevare velocemente la
coscienza.
Il solo requisito per un canto efficace dei mantra è quello
di sospendere completamente la propria identificazione con la mente. Per uno
yogi, il più grande sacrificio, o yajna, è l’arrendere la propria mente al
mantra. Questa offerta della propria mente con la recitazione di preghiere nel
linguaggio rituale, o mantra, è il più antico metodo usato dall’umanità per
unirsi alle sue origini divine. Dall’antichità fino ai giorni d’oggi, la
meditazione con kirtan e japa è praticata abbondantemente da coloro che
rifiutano di limitarsi entro i confini della materia.
Completamente al di là del vertiginoso ciclo dell’esistenza
materiale, nel regno divino, dove ogni parola è una canzone e ogni passo una
danza che celebrano la divinità, l’antica poesia sanscrita rivela un kirtan
ispirato che consiste di 16.000 partecipanti principali! Il decimo canto
dell’opera Bhagavata Purana, conosciuto come la rasa lila di Krishna, risplende
con bellissime descrizioni di maestri di yoga chiamati gopi. In risposta a un
richiamo d’amore da parte della divinità (quando Krishna suona il suo flauto),
queste perfette yogini sono ispirate spontaneamente ad unirsi tra di loro e con
la divinità, creando un cerchio perfetto di canti, danze e musica. Questo
cerchio è conosciuto come rasa mandala, e i grandi maestri ci hanno rivelato
che è l’essenza di tutti i kirtan che hanno decorato l’etere dall’eternità.
Quando noi offriamo i nostri cuori alla pratica del kirtan,
recitando versi sacri, mantra sacri, noi invitiamo la divinità a una relazione
più intima, proprio come quella ottenuta dalle gopi con Krishna, quando esse
danzarono nella rasa mandala, abbracciandolo. Questa unione è il cuore dello
yoga, ed è compresa nella definizione stessa della parola yoga: dalla radice
sanscrita “yug” che significa “unire”, “aggiogare”, “connettersi”. Al di là dell’ovvia
intimità tra l’anima e la divinità, la rasa mandala indica una potente
connessione tra i membri della comunità degli yogi e yogini che insieme si
sforzano di realizzare intimamente il divino.
Questa comunità
spirituale si chiama sanga, ed è costituita per ravvivare la nostra danza con
il divino. Nel libro di Graham Schweig, La danza del divino amore, egli estende
la definizione del termine sanga, come simbolizzato dalla danza rasa,
accogliendo tutte le diverse tradizioni religiose. Le gopi danzano e cantano in
sinfonìa nella rasa lila (una manifestazione dei loro sentimenti armoniosi e
sincronici nella celebrazione della divinità) diventando un modello
comportamentale per gli esseri umani nell’unirsi insieme all’eterna danza dello
yoga: “dove Dio e l’anima perdono sé stessi nei ritmi, nelle melodie e nei
movimenti dell’amore divino!” Questa “danza dell’amore divino” è la più elevata
realizzazione del kirtan, il fine del canto dei mantra.
Innamorarsi del divino attraverso i suoni sacri! Cosa può
essere più allettante? Una pratica di yoga efficace renderà la persona
particolarmente accorta ai suoni che produce e ai suoni che ascolta, perché la
pronuncia e l’ascolto del suono costituisce un cerchio completo nel esperire i
suoni sacri. Le scritture vediche sono conosciute come Shruti (conoscenza
ricevuta attraverso il sistema uditivo). Shruti è anche conosciuta come
apaurusha, cioè la conoscenza che non ha origine dall’uomo. L’“oratore” dei
suoni sacri è la divinità stessa, questo è confermato dal Bhagavata Purana
(3.26.33). Gli yogi cantano di questo regno immortale quando permettono a loro
stessi di essere usati come strumento del divino. Questa esperienza sommerge il
cuore dei più sinceri partecipanti al kirtan. Il mantra è dapprima cantato
dalla persona che guida il kirtan (mentre l’udienza ascolta), successivamente
l’udienza risponde (mentre il leader ascolta). I suoni sacri sono così
sviluppati in modo ciclico e dialettico.
Questo dialogo sacro tra colui che guida il kirtan e coloro
che rispondono serve come modello di una comunicazione illuminata – le parti
sono sintonizzate tra di loro, espressioni che si rispecchiano con l’intento di
fare della divinità l’asse attorno al quale ruotano i suoni. In modo simile,
nella recitazione individuale del japa è generato un ritmo ciclico simile a un
mandala, con l’aiuto di un mala – una corona composta da molti grani – e
durante la recitazione il senso del tatto aiuta la concentrazione sulla
pronuncia e l’ascolto del mantra.
Lo sviluppo della nostra relazione con il suono sacro è
molto illuminante. La nostra percezione della realtà risplende più luminosa
quando coscientemente ci sforziamo di unirci alla sinfonia dei sacri suoni che
sostengono ogni esistenza. Questo atto di unione è yoga. Il creare suoni che
nutrono la nostra esistenza allinea la nostra aria vitale (prana) con la luce
della pura coscienza. I suoni così pronunciati aspirano a diventare simili alle
canzoni piene d’amore delle gopi. Scopriremo così il potere del suono
raggiungendo la destinazione più meravigliosa, questo luogo divino che è già
dentro di noi.
Krishna Kanta Dasi (Catherine Ghosh)
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