Tutti nasciamo creativi ma chi ci educa ci spegne
Per il guru dell'innovazione Tom Kelley la regressione verso il pensare omologato inizia dall'asilo nido
Siamo tutti dei grandi creativi sui banchi dell’asilo, è il
crescere che ci rende ottusi. Non ci rincuora molto, ma più i nostri
ricordi camminano a ritroso, più ci torna in mente come fosse facile da
bimbi immaginare possibile ogni nostro più balzano pensiero. Per
stimolare la creatività le aziende dovrebbero andare a sbirciare quel
che succede nelle scuole materne, almeno questa è la convinzione di
Tom Kelley, uno dei più rinomati consulenti per l’ innovazione, che con questa uscita ha sorpreso la sua platea all’
“Aspen Ideas Festival” in Colorado.
Non basta fare largo ai giovani, la rottamazione della società dovrebbe fare largo ai lattanti. Kelley non dice proprio questo, ma ci induce sicuramente a drastiche revisioni delle nostre certezze riguardo il valore dell’ esperienza. La sintesi è che noi umani nasciamo tutti artisti, le restrizioni alla creatività subentrano dal mondo esterno, nel successivo lavoro che la società fa su di noi per trasformarci in umani civilizzati.
Per Kelley la chiave della perdita di creatività va cercata osservando ciò che accade nelle scuole materne, sembra quasi che esista un perverso meccanismo per cui, da un certo punto in poi, qualcosa inizia a tarparci le ali. Secondo lui è il timore che abbiamo di essere giudicati e che prende il sopravvento; la saggezza deteriora quella che lui chiama “fiducia creativa”, ossia quella qualità, simile alla spregiudicatezza, che ci permette di portare sul piano dell’agire una fulminazione che attraversa la nostra mente. Un bambino alla scuola materna è sicuramente il più alto livello di dissociazione umanamente rappresentabile, a meno che non si voglia sconfinare nei territori della patologia o del crimine.
Il divertimento che a volte ci procura osservare le puerili follie è già un sintomo, sorridiamo perché immaginiamo, paradossalmente, quello che quel turbine di natura compressa potrebbe fare se avesse modo di muoversi, agire, sfuggire al mostro controllo. Probabilmente quel bambino modificherebbe le destinazioni d’uso primarie della maggior parte dei nostri dispositivi, capovolgerebbe le gerarchie di azioni cui assegniamo porzioni del nostro tempo, insomma cambierebbe le nostre convenzioni: la più tenace difesa che ci siamo creati per arginare il cambiamento.
Tutto ciò che oggi è raggruppato nel termine “maturità”, corrisponde fatalmente a un’assuefazione al compromesso, all’aggiustamento, alla filosofia del passo indietro. I tagli alla creatività infantile ci sono inesorabilmente imposti durante tutta la nostra fase di crescita, nel corso di quel doveroso esercizio quotidiano che c’impone limiti alla fantasia. Iniziamo così a essere attendibili solo quando uccidiamo il folle bimbo che è in noi.
http://www.lastampa.it/2014/07/01/blogs/obliqua-mente/tutti-nasciamo-creativi-ma-chi-ci-educa-ci-spegne-5o7RS2CZQCmKDQdYHzjtOL/pagina.html
Non basta fare largo ai giovani, la rottamazione della società dovrebbe fare largo ai lattanti. Kelley non dice proprio questo, ma ci induce sicuramente a drastiche revisioni delle nostre certezze riguardo il valore dell’ esperienza. La sintesi è che noi umani nasciamo tutti artisti, le restrizioni alla creatività subentrano dal mondo esterno, nel successivo lavoro che la società fa su di noi per trasformarci in umani civilizzati.
Per Kelley la chiave della perdita di creatività va cercata osservando ciò che accade nelle scuole materne, sembra quasi che esista un perverso meccanismo per cui, da un certo punto in poi, qualcosa inizia a tarparci le ali. Secondo lui è il timore che abbiamo di essere giudicati e che prende il sopravvento; la saggezza deteriora quella che lui chiama “fiducia creativa”, ossia quella qualità, simile alla spregiudicatezza, che ci permette di portare sul piano dell’agire una fulminazione che attraversa la nostra mente. Un bambino alla scuola materna è sicuramente il più alto livello di dissociazione umanamente rappresentabile, a meno che non si voglia sconfinare nei territori della patologia o del crimine.
Il divertimento che a volte ci procura osservare le puerili follie è già un sintomo, sorridiamo perché immaginiamo, paradossalmente, quello che quel turbine di natura compressa potrebbe fare se avesse modo di muoversi, agire, sfuggire al mostro controllo. Probabilmente quel bambino modificherebbe le destinazioni d’uso primarie della maggior parte dei nostri dispositivi, capovolgerebbe le gerarchie di azioni cui assegniamo porzioni del nostro tempo, insomma cambierebbe le nostre convenzioni: la più tenace difesa che ci siamo creati per arginare il cambiamento.
Tutto ciò che oggi è raggruppato nel termine “maturità”, corrisponde fatalmente a un’assuefazione al compromesso, all’aggiustamento, alla filosofia del passo indietro. I tagli alla creatività infantile ci sono inesorabilmente imposti durante tutta la nostra fase di crescita, nel corso di quel doveroso esercizio quotidiano che c’impone limiti alla fantasia. Iniziamo così a essere attendibili solo quando uccidiamo il folle bimbo che è in noi.
http://www.lastampa.it/2014/07/01/blogs/obliqua-mente/tutti-nasciamo-creativi-ma-chi-ci-educa-ci-spegne-5o7RS2CZQCmKDQdYHzjtOL/pagina.html
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