IO
PARLO, TU PARLI, CHI ASCOLTA?
L'ASCOLTO E L'OSSERVAZIONE
Udire è istintivo, accade quasi nostro malgrado. Ascoltare
è una facoltà, una decisione intellettuale. Il 40%
del tempo che passiamo da svegli è impiegato nell'ascolto.
Ma l'ascolto "reale" è molto meno. Nell'uomo
domina il bisogno di esprimersi e parlare è la manifestazione
di tale bisogno di manifestarsi, di esistere. L'uomo ha bisogno
di parlare per avere la sensazione di esistere.
Questo significa che fermare chi sta parlando, non dargli ascolto,
dare la sensazione di non interesse, di noia, di banalità,
è come negarne l'esistenza. E l'altro reagirà per
forza, per sopravvivere...
Il problema è che, avendo tutti noi questo bisogno di esprimerci,
nella relazione con l'altro abbiamo due bisogni di esistere che
si realizzano sopprimendosi a vicenda. Da qui nasce l'Arte dell'Ascolto.
A volte ci sono situazioni in cui ci sentiamo obbligati ad ascoltare,
e subiamo il parlare noioso e logorroico dell'altro: ma che rapporto
c'è tra questo ascolto che possiamo chiamare "ascolto
passivo" e il proprio senso di autostima?
Come mi sento mentre l'altro parla? Non bene. Cosa posso fare
per esprimermi invece di ascoltare passivamente? Come convivo
con la sensazione di aver perso del tempo e di aver perso stima
in me stesso?
E' possibile evitare il conflitto con l'altro, creando un incontro
di questi due bisogni di esprimersi?
Di solito cosa facciamo? Giudichiamo questa persona che sta parlando
e cerchiamo persone a noi affini, con cui ci troviamo bene. Ma
forse è solo la nostra percezione: siamo sicuri che loro
si trovino bene con noi? Esistono davvero queste affinità
elettive o ci sembra di trovarci bene con l'altro solo perché
ci lascia esprimerci?
Noi tendiamo a giudicare negativamente chi ripete sempre le stesse
cose, ma non ci accorgiamo che anche noi ascoltiamo sempre allo
stesso modo!!!!
Qual è la funzione fondamentale della comunicazione? Esprimersi.
Ma chi ascolta?
E quando ascoltiamo, cosa ascoltiamo? IL COSA (le parole che l'altro
dice) e IL COME (il tono e il comportamento di chi sta parlando).
Ma non ascoltiamo mai il PERCHE'(l'intenzione di chi parla). Perché
l'altro sta parlando?
E' fondamentale cogliere l'intenzione, il sottotesto, ciò
che sta "sotto" il testo. Cosa succede quando colgo
il perché? Cosa succede quando so che la persona parla
perché ha bisogno di esprimersi per sentirsi vivo? Cambia
qualcosa nel mio comportamento?
Proviamo a relazionarci con l'altro pensando, sapendo e cogliendo
nel suo modo di essere che il nostro interlocutore, come noi,
ha bisogno di esprimersi per vivere.
L'ASCOLTO
NELLE RELAZIONI INTERPERSONALI
Ma
è sempre necessario ascoltare e sorbirsi il parlare noioso
degli altri? O ci sono alternative?
Imparare ad ascoltare non vuol dire svolgere un'azione umanitaria,
ascoltando chicchessia, rispetto a qualsiasi tema o in qualsiasi
momento. Dobbiamo partire dal principio che non siamo costretti
ad ascoltare, ma che spesso ci ritroviamo ad ascoltare nostro
malgrado.
Si tende spesso a sentirsi in dovere di ascoltare, e a sentirsi
in colpa per non aver ascoltato. In realtà l'unica cosa
di cui dobbiamo sentirci in colpa è di non aver trasformato
la situazione e il rapporto con l'altro. Il nostro obiettivo deve
essere quello di ottimizzare il processo di ascolto ai fini di
una migliore relazione interpersonale, REALMENTE VOLUTA, per creare
o approfondire "nuove" relazioni interpersonali tutte
potenzialmente interessanti, per arricchirci personalmente e per
conoscere nuove alternative ai propri punti di vista.
Proviamo a fare un esempio di una situazione piuttosto frequente.
Una persona ci parla di un momento significativo della sua giornata,
con particolari e dettagli di ogni genere. La ascoltiamo? E' interessante?
Spesso in queste situazioni si generano in noi una forma di Ascolto
Passivo dove, pur annoiandoci a morte, continuiamo ad ascoltare
l'altro senza intervenire.
Siccome con la persona che parla esiste un rapporto, ci ritroviamo
ad ascoltarla. Ma se l'oratore è poco interessante, dobbiamo
poter intervenire. FONDAMENTALE E' IL LIVELLO DI RELAZIONE INTERPERSONALE.
Tanto più siamo interessati all'altro, tanto più
dobbiamo mettere intenzione nella "trasformazione" del
parlare "noioso". Ciò non significa che dobbiamo
parlare noi. Ma dobbiamo sentire il bisogno di intervenire.
E' importante imparare a non accettare nostri ascolti "negativi"
o "annoiati", ma MAI in maniera brusca o frustrante
per l'altro, che sta solo manifestando se stesso.
Quando chi parla ha un atteggiamento negativo, è importante
evitare di banalizzare il tema, sminuire o minimizzare il problema,
rimproverare l'altro ("te l'avevo detto") o dare dei
consigli che l'altro non può seguire e a cui non è
interessato in quel momento.
Quando invece l'altro è "noioso", il comportamento
più frequente consiste nel dare chiari ed evidenti segnali
di noia per farlo smettere, dire di non aver tempo, esprimere
chiaramente il fatto di essere stufi di ascoltare sempre le stesse
cose, interrompere l'incontro, dedicarsi ad altro senza guardare
in faccia chi sta parlando.
Tutte queste reazioni hanno evidenti effetti negativi sulla relazione.
L'altro ci resta male, si sente offeso, il suo senso di autostima
ne risente, non capisce la nostra reazione, si genera un attrito
e un forte rancore.
Ma allora come trovare una maniera creativa e stimolante per trasformare
la situazione?
Dobbiamo esercitare un ascolto attivo. Attraverso l'ascolto attivo
coglieremo gli elementi necessari per trasformare la situazione.
Per non perdere tempo in un ascolto inutile, ecco alcune possibili
strategie di trasformazione della situazione, che permettono di
creare o trasformare la relazione con l'altro, rendendo la conversazione
più interessante per tutti:
- avere sempre qualcosa di interessante da dire (se è vero
che l'altro è noioso, è anche vero che forse parla
perché noi non abbiamo niente da dire);
- ristrutturare il tema in corso, facendogli prendere un'altra
strada, spesso attraverso domande su qualche parola chiave del
contenuto;
- fare delle associazioni legate al tema, ma che di fatto spostino
l'argomento;
- agganciarsi a parole chiave del tema, chiedendo cosa significa,
o se l'altro può aiutarci rispetto a
qualcosa (le persone sono molto pronte a rispondere ad una richiesta
di chiarimento o di aiuto);
- creare una nuova situazione ("andiamo a bere un aperitivo",
"Ah, ricordami che dopo ti devo dire una cosa importante,
ma dopo, quando hai finito….");
- dare un appuntamento, rinviando la situazione;
- aprire un nuovo tema, con qualche riferimento all'altro ("Ah,
prima che mi dimentichi…ho visto una cosa che ti farà
impazzire di gioia….");
- lasciare esaurire il discorso, intervenendo solo con piccole
frasi ("sì", "no", "certo",
ecc..), senza alimentare il discorso, ma esercitando un ascolto
attivo, guardando l'altro negli occhi per non dargli la sensazione
di essere annoiati da quello che dice.
LA GESTIONE DEI CONFLITTI
Ormai
sappiamo che l'uomo si esprime non solo parlando, ma tramite ogni
sua azione, ogni suo atteggiamento: sappiamo che "tutto è
messaggio".
Noi ci esprimiamo anche attraverso il nostro modo di ascoltare.
L'ascolto non deve essere una forma di disponibilità passiva
o addirittura di sudditanza nei confronti di chi parla, bensì
un elemento fondamentale che concorre a creare o migliorare una
relazione. L'ascolto è il fondamento della relazione.
Ma ogni relazione ha in sé una situazione di conflitto.
Quanto meno proprio e ancora per la personale esigenza di manifestarsi
per esistere, anche a scapito dell'altro. Ma cosa ne facciamo
di questo conflitto?
Si dovrebbe poter considerare il conflitto non come un problema
da evitare a tutti i costi (se c'è, è inutile ignorarlo),
ma come un'opportunità da utilizzare.
Da cosa nascono i conflitti? Dalla presenza di posizioni diverse.
Gestire un conflitto non significa imporre la propria posizione,
ma neanche abbracciare quella altrui. Dobbiamo essere convinti
che non si tratta di una gara da cui uscire vincenti o perdenti.
Invece di cercare di vincere il conflitto (o rassegnarci a perderlo)
proviamo a chiederci qual è la nostra motivazione e qual
è quella dell'altro.
Se riusciamo a svelare perché abbiamo una certa posizione
e perché il nostro interlocutore ha la propria, allora
scopriamo un diverso livello di relazione su cui muoverci.
Ci sono varie tipologie di conflitto. Una di quelle più
frequenti si incarna nella figura del "colpevolizzatore".
Il colpevolizzatore è colui che ha da ridire su di tutto.
Per lui la colpa di ciò che accade è sempre dell'altro.
C'è sempre un responsabile, e non è mai lui. Il
colpevolizzatore fa di tutto, consciamente e non, per far sentire
l'altro colpevole di qualcosa. Nella sua visione della realtà
l'altro è incapace di affetto, di attenzione, di presenza.
Questo tipo di persona usa spesso parole come "sempre",
"mai", "tutto", "niente": parole
estreme che esagerano sempre la situazione ("Perché
siamo sempre senza soldi?"; "Non hai mai tempo per me!";
"Non c'è più latte!"; "Come mai telefoni
sempre a tua madre?").
Di fronte ad affermazioni del genere ci sentiamo attaccati personalmente
e cerchiamo di reagire. L'errore più frequente è
quello di reagire d'impulso, d'istinto, dando vita alla "DANZA
DEL COLPEVOLIZZATORE": NON FACCIAMOLO, MAI!!!
Conviene prendersi tempo, lasciar passare dieci-quindici secondi,
prima di qualsiasi reazione. Se una persona ci sferra un pugno,
si aspetta una nostra reazione immediata, anche solo per difenderci,
ma se questa non si verifica, allora la tensione dell'aggressore
comincerà a scemare. Lo sorprendiamo con la nostra calma,
e può darsi che si fermi, mentre noi nel frattempo abbiamo
conquistato del tempo prezioso durante il quale scegliere una
reazione costruttiva e non una difesa istintiva. Non reagire mai
simmetricamente, né complementarmente, cioè come
ci verrebbe naturale essendo attaccati, ma spostiamo il livello
su un piano più alto.
Un'altra forma di conflitto molto diffusa è quella che
nasce in presenza di posizioni opposte. Alcuni esempi: uno vuole
la finestra aperta, l'altro la vuole chiusa; tutti vogliono andare
al ristorante giapponese, ma c'è una persona che vuole
andare in pizzeria; tra marito e moglie, lei vuole la casa piena
di oggetti, a lui danno fastidio e preferisce poche cose; tra
sorelle, una vuole mandare la madre anziana in una casa di riposo,
l'altra vuole tenerla in casa.
Situazioni come queste sono molto frequenti. Cosa fare? Ancora
una volta è fondamentale l'interesse. Perché una
persona vuole una cosa? Se sviluppiamo la capacità di scoprire
l'interesse dell'altro, possiamo trovare elementi comuni su cui
lavorare. E' importante essere buoni conoscitori dell'altro. Ricordiamoci
che avere posizioni opposte non significa necessariamente avere
interessi opposti.
Il conflitto è spesso causato anche dall'incomprensione,
ossia da quella situazione che si verifica ogni volta che qualcuno
dice o fa qualcosa che l'altro interpreta come un attacco personale.
Spesso non è affatto così, ma chi si esprime per
primo commette gravi errori di comunicazione senza accorgersene,
errori che vengono letti dall'altro come un attacco volontario.
Egli cerca di difendersi ma la sua reazione appare a chi aveva
commesso il primo errore come un attacco immotivato e in questo
modo si sviluppa una dinamica di "botta e risposta"
dalla quale è difficilissimo uscire.
Pensiamoci bene: quante volte ci siamo trovati in situazioni del
genere?
In presenza di un interlocutore ostile, sospettoso, che sta sulla
difensiva, può essere utile affidarsi alla STRATEGIA DELL'AZIONE
INDIRETTA: adottare un comportamento opposto a quello che ci verrebbe
spontaneo. Anziché contrattaccare, fare come nell'aikido:
non offrire resistenza agli attacchi. Accogliere quello che dicono
o fanno gli altri come un contributo per la soluzione del problema.
Le tre reazioni più frequenti di fronte ad un attacco sono:
la reazione simmetrica (attacco chi mi attacca), complementare
(subisco e mi adeguo a chi mi attacca) e la rottura del rapporto.
Ecco alcuni suggerimenti e alcune ipotesi di intervento che possono
aiutare a gestire i conflitti e che sono strettamente legate all'ascolto:
- non prendere l'attacco personalmente, ma come una manifestazione
dell'altro;
- prendere tempo, non reagire d'impulso;
- chiedere spiegazioni;
- mettersi dalla parte dell'altro. Empatia. Pensare che l'altro
ci sta aiutando a lavorare sull'ascolto. Chiedergli di continuare
perché abbiamo bisogno di capire più a fondo;
- prendere coscienza del conflitto e di ciò che sta avvenendo;
- evitare posizioni di debolezza o di eccessiva forza;
- utilizzare la forza dell'altro;
- mettersi nei panni dell'altro, cercare di cogliere che cosa
sente, cosa vuole, di cosa ha bisogno;
- parafrasare che cosa l'altro ci ha detto;
- in certe situazioni, prendere appunti e far sentire all'altro
che ci stiamo interessando a quello che dice;
- fingere di non aver capito e chiedere di ripetere.
Non
dimentichiamoci che un altro strumento molto importante è
la "metacomunicazione": parlare del conflitto, della
difficoltà ad intendersi, dei problemi di linguaggio che
abbiamo nel rapporto con l'altro.
NESSUN
CONFLITTO E' COSI' IMPORTANTE DA GIUSTIFICARE UNA GUERRA: TUTTI
DOBBIAMO MORIRE: UTILIZZIAMO MEGLIO IL NOSTRO TEMPO.
L'ASCOLTO COME ARRICCHIMENTO
Ascolto
come arricchimento della nostra anima, della nostra conoscenza,
del nostro rapporto con l'altro. Ma che cosa e chi ascoltare ?
- Ascoltare me stesso: per farlo è necessaria la solitudine,
che spesso invece viene considerata come qualcosa di negativo.
La solitudine è importantissima, per ascoltare i propri
pensieri, le proprie emozioni, le proprie sensazioni;
- Ascoltare l'altro, come vedremo in seguito;
- Ascoltare lo spazio, il tempo, l'evento nel suo insieme, la
realtà. Fermarsi e osservare, come un bambino. Un incidente,
un vecchio che cammina, una famiglia felice, il traffico, le voci
sulla metropolitana. Non ascoltare una cosa specifica, ma tutte
insieme, cogliere l'insieme, l'evento, il tempo che passa, lo
spazio tutto.
Dopo aver individuato i diversi livelli di ascolto, proviamo a
fare degli esperimenti. Siamo in grado di ascoltarci mentre parliamo
con l'altro? E' difficile, perché la relazione ci porta
via.
Proviamo ora ad ascoltare noi stessi, mentre parliamo con l'altro,
e ascoltare contemporaneamente tutta la realtà: la difficoltà
aumenta. E' più semplice ascoltare noi stessi e la realtà,
senza relazione con l'altro. D'altronde Sarte diceva: "L'altro
è il mio inferno".
Eppure non possiamo non relazionarci. Ma chi è questo "altro"
con cui entriamo in relazione e che dovrebbe arricchirci ? Non
tutti i rapporti sono uguali: proviamo ad analizzarli:
I
nostri genitori. Sono le nostre radici, sono noi stessi. Osservarli,
farli parlare di loro, dei loro genitori, della loro vita, delle
loro speranze spesso deluse, ci parla di noi, del perché
noi siamo come siamo. L'ascolto dei genitori, che diamo sempre
per scontato, è fondamentale. Ma non possiamo pretendere
che siano interessanti. Dobbiamo essere noi a creare le condizioni
per un ascolto arricchente dei nostri genitori.
Molto utile può essere fare metacomunicazione con i nostri
genitori, ossia parlare con loro di come va il nostro rapporto
di comunicazione: ci siamo mai posti così nei loro confronti?
Altro importante rapporto è quello con i figli. Anche nei
figli possiamo rivedere noi stessi. Spesso nel rapporto che abbiamo
con i nostri figli assumiamo le vesti del "colpevolizzatore":
ma anche in questo caso dobbiamo sforzarci di creare con i nostri
figli le condizioni migliori per un arricchimento.
C'è poi la categoria dei parenti. La cultura della famiglia
ha tuttora un ruolo decisivo nella nostra società, anche
se non più come in passato. I parenti, con i quali i rapporti
sono basati sulla formalità, si incontrano solo in certe
occasioni (matrimoni, funerali, festività natalizie, ecc…).
Perché non proviamo a creare altri scenari? Invitare un
parente a pranzo, un giorno qualunque? I parenti sono un mondo
da scoprire. Sta a noi decidere di entrare nella vita degli altri,
ma non lasciamo agli altri l'opportunità di cambiare la
nostra. In questo caso siamo solo come foglie al vento.
Lo stesso discorso è valido per gli amici, categoria molto
diffusa, ma con la quale il rapporto è spesso superficiale.
Se ci sono amici è perché ci sono aspetti di loro
affini ai nostri, che forse noi non vediamo. Osserviamoli, nel
loro esserci, nel loro muoversi, nel loro parlare e raccontare.
Non limitiamoci ad approfittare della possibilità di dire
quello che vogliamo a qualcuno che ci capisce.
Ci sono poi i nemici, coloro con cui abbiamo conflitti, incompatibilità,
Sono i mondi più diversi e importanti. Dobbiamo trovare
come entrare nel loro fuoco di sbarramento. Anche con i nemici
può tornare utile la metacomunicazione.
C'è poi un'altra categoria molto diffusa, ed è quella
degli indifferenti, di coloro a cui diciamo "Buongiorno"
e "Buonasera", di quelle persone che non sono né
simpatiche né antipatiche, che incrociamo nei corridoi
della nostra azienda o tutte le mattine alla fermata dell'autobus.
Tra gli indifferenti ci sono persone molto diverse: i vecchi,
i felici, le persone che hanno vissuto esperienze difficili, tutti
soggetti con i quali è possibile creare le condizioni per
un ascolto arricchente.
Ci
sono poi gli assenti, quelli che non vediamo più da tantissimo
tempo e che probabilmente non vedremo mai più, se non ci
diamo da fare per creare un incontro, per riattivare un rapporto,
sciogliere nodi del passato, arricchirsi attraverso l'ascolto
dell'altro.
Gli
altri sono i mondi possibili. La cosa più triste sono le
relazioni che finiscono, di amicizia, di conoscenza sul lavoro,
di esperienze comuni. Ci si vede qualche giorno, si vivono magari
intense emozioni. Ci si promette incontri e amicizia eterna e
poi non ci si sente più. Non si ha tempo. Si ha la propria
vita. Appunto, la propria vita. Sempre la stessa. Quella, individuale,
di tutti, uguale a quella di tutti, ma che a me sembra unica.
La mia. Cioè sempre io, solo io. Nel mio piccolo mondo.
PENSIAMO
SOLO A TUTTE LE PERSONE CHE ABBIAMO CONOSCIUTO NELLA NOSTRA VITA
E CHE ABBIAMO PERSO DI VISTA. PERSONE CHE CI SONO STATE VICINE
PER QUALCHE TEMPO.
PENSIAMO A QUANTA RICCHEZZA CI AVREBBERO POTUTO DARE. DIPENDE
SOLO DA NOI CREARE QUESTE POSSIBILITA'. E INVECE NOI RESTIAMO
ABBARBICATI AL NOSTRO COMPAGNO, AI NOSTRI FIGLI, A NOI STESSI
E AI NOSTRI PICCOLI PIACERI E ABITUDINI DI AUTOCONSOLAZIONE. SOLO
CON UN PATTO DI MUTUA E MUTA TESTIMONIANZA.
E A VOLTE ADDIRITTURA CI ANNOIAMO, PERCHE' NON ABBIAMO NIENTE
DA FARE!!
Conclusioni
Tutto
ciò che noi riceviamo dall'esterno (dall'altro e dalla
realtà) è energia. Ma l'energia è anche dentro
di noi, bloccata da schemi mentali e culturali. L'ascolto è
uno strumento straordinario per far
aumentare la nostra energia, ma siamo noi che dobbiamo creare
le condizioni affinché ciò avvenga, affinché
l'ascolto sia una fonte di arricchimento, sempre e con chiunque.
Ognuno di noi si sente solo e spesso incompreso. Ma questo vale
per tutti. Noi crediamo che l'ascolto sia un optional, una specie
di caso. Ascoltiamo ciò che accade e che ci può
interessare: NIENTE DI PIU' SBAGLIATO.
SIAMO
NOI CHE DOBBIAMO CREARE LE CONDIZIONI E GLI EVENTI PER UN ASCOLTO
ARRICCHENTE.
SIAMO NOI CHE ABBIAMO BISOGNO DI IMPARARE, DI CONOSCERE, DI AMPLIARE
LA CONOSCENZA DEI MONDI POSSIBILI.
NON
ASPETTIAMOCI CHE QUESTO ACCADA NATURALMENTE. NON DOVREMMO PERDERE
NEANCHE UN SECONDO IN BANALITA' DI DIALOGHI INUTILI E SUPERFICIALI.
QUESTE POSSONO SERVIRE SOLO PER CREARE LE CONDIZIONI DI TRASFORMAZIONE.
DOVREMMO ACCORGERCI SEMPRE QUANDO QUESTO ACCADE NELLE DIVERSE
SITUAZIONI. FAR PARLARE L'ALTRO E ASCOLTARE NOI STESSI CHE ASCOLTIAMO
L'ALTRO.
NON DIMENTICHIAMOCI CHE NOI, TUTTI NOI, SOFFRIAMO DI SOLITUDINE
E DI MANCANZA.
MA
SE E' VERO CHE NON ESISTE LA FELICITA', E' ALTRETTANTO VERO CHE
UNA PIANTA SOFFRE IL CALDO DI PIU' NEL DESERTO CHE IN UNA FORESTA.
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