SIMONE PEROTTI: "NON ATTENDO UN MOVIMENTO PER CAMBIARE ME STESSO"
nessuna delle soluzioni che attendiamo verranno dall'alto.
Pubblicato da
Cristina Bassi in http://saluteolistica.blogspot.it/
Un uomo che cambia, cambia il mondo - Simone Perotti
Come opporsi a un sistema economico dove le decisioni vengono prese ad altezze siderali? Una sola, fondamentale domanda cui Simone Perotti risponde
presentando un'alternativa affascinante, un cambio di prospettiva
radicale. L'unica rivoluzione che possiamo fare è quella interiore,
perché un uomo che cambia, cambia il mondo.
Intervista a Simone Perotti - scrittore
a cura di Valerio Valentini
Sono Simone Perotti. Sono uno scrittore, scrivo saggi, romanzi. Ho 47 anni e vivo in Italia. “Downshifting” e “scollocamento”
sono due parole che ricorrono spesso in quello che scrivo e in quello
che faccio. Sono la conseguenza teorica e anche la premessa del
cambiamento di vita che ho fatto per cercare di vivere nella maniera più
autentica possibile, cercando di avvicinarmi all’idea che ho di me.
Quando lavoravo tutto il tempo, quando consumavo in maniera inadeguata
alla produzione di benessere per me, quando vivevo in luoghi che non
erano adatti a me, quando frequentavo persone che non erano le persone
che avrei dovuto frequentare, quando non passavo il tempo da solo che è
necessario che io passi per cercare di essere un essere umano, di
rimanere il più possibile collegato alla realtà, e tante altre cose che
sarebbe lungo enumerare, non ero scollocato e avevo bisogno di cercare
la mia rotta. Ognuno ha la sua, io sto tentando la mia, e questo è
quello che consente a quello che scrivo e a quello che faccio di essere
preso davvero per quello che è.
C’è un aspetto molto importante in quest’epoca che è quello del collegamento tra il pensiero e l’azione, quella che io chiamo “la catena corta”.
È necessario fare ciò di cui si parla, è necessario parlare di ciò che
si è. È necessario in qualche modo testimoniare, soprattutto se ci si
pone l’obiettivo di avere un impatto politico, come io credo ogni
scrittore dovrebbe avere. Perché fare letteratura, anche quando non si
affrontano temi spiccatamente politici, è fare politica. Così come vivere è fare politica.
E da questo punto di vista mi stupisco sempre un po’ di vedere quante
occasioni di politica noi perdiamo, nella nostra vita quotidiana, in
ogni nostra azione, magari poi rivendicando la necessità di andare a
votare come se fosse un gesto politico. Il gesto politico è fino al giorno in cui si vota, e dal giorno dopo in cui si è votato, non durante.
Ciò di cui parlo io, ciò che ho fatto, e quello che appassiona anche
tante persone a quello che scrivo è la conseguenza, o è un tassello, di
un ampio pensiero politico e di un ampio pensiero esistenziale che fanno
capo a tanti pensatori, a tanti teorici, e a migliaia di persone che
stanno cambiando la loro vita. La grande informazione non dà spazio ai
temi della decrescita, ai temi del cambiamento dell’obiettivo e della
strategia di vita e di pensiero, che sono necessari in un’epoca in cui
il sistema sta implodendo, sta crollando. La premessa che tutti
avrebbero avuto parte di questo di sistema, e che il sistema sarebbe
sempre cresciuto e avrebbe generato benessere, è saltata. E quindi già
da molto tempo, da Latouche a tanti altri, molti intellettuali ragionano
su una diversa prospettiva di vita.
Quello che forse rende diversa la teorizzazione abituale con quello che
più volte mi è capitato di dire, certamente mi capita di fare, e che
spesso mi è capito di scrivere, è che io credo che il grande ostacolo al
pensiero della decrescita e di un diverso modo di organizzare la nostra
vita sia l’attesa di una costruzione collettiva, sia
l’attesa di un movimento ampio che generi massa critica per poter
cambiare le cose. Io questo movimento ampio non lo aspetto, non credo
molto nemmeno nel suo valore. Penso che l’ampiezza di un movimento sia
data dalla quantità di singoli individui che decidono di cambiare vita, e
penso che ogni singolo individuo abbia l’unica grande responsabilità di
pensare, organizzare, progettare e agire individualmente.
Non c’è nessuno ostacolo a farlo: tutti gli ostacoli che noi invochiamo
generalmente sono ostacoli fittizi che servono solo a ritardare il
giorno della partenza, mentre per la rotta che è giusto fare è possibile salpare ogni giorno. E credo che la fase nuova che ci aspetta sia già alla portata di mano.
Io ho nel mio piccolo – frase che non amo, ma che serve semplicemente a
far capire l’orizzonte, diciamo, della mia visuale – ho cambiato il
70/80% del mio approccio con l’esistenza, delle cose che faccio, del mio
rapporto col denaro, del mio rapporto con la produzione, col consumo,
del mio apparato di relazioni, della mia gestione del tempo e della
quantità di sforzo quotidiano nel tentativo di organizzare la mia vita
il più possibile in maniera originale e autentica. Da questo punto di
vista io sono già salpato. Bella o brutta che sia la mia rotta, non sto
attendendo che altri, o un movimento, o un partito, legittimo il mio
bisogno e la mia richiesta di cambiamento.
La richiesta, generalmente, è quella di una vidimazione del nostro
percorso, di un’autenticazione da parte di un partito, di un movimento,
di un apparato ideale di ciò che pensiamo, e in qualche modo del
coinvolgimento della nostra storia all’interno di una storia più ampia.
Quest’ordine di cose, questo presupposto comunitario e relazionale, è
sempre stato un enorme ostacolo: nessuna delle soluzioni che noi attendiamo o di cui siamo alla ricerca verrà dall’alto.
Ciò che è accaduto fin qui ci dimostra che nessun processo di
cambiamento può esser più affrontato se non correndo il rischio che a
guidarlo siano driver economici, finanziari, e quindi politici in
seconda battuta. Le grandi decisioni di questo mondo, della nostra cultura, vengono tutte prese ad altezze siderali sopra la nostra testa,
non tengono affatto conto della nostra vita come individui, e quindi ci
impongono un cambiamento rapido, individuale, sotto la nostra
responsabilità, convinti che un uomo che cambia cambi il mondo.
Perdere questa convinzione significa perdere il potere dell’azione
individuale e significa relegarci in un ambito d’attesa che la storia ha
dimostrato non essere più possibile. Nessuna chiamata alle armi
funzionerà, nessun movimento organizzato funzionerà. È dimostrato – nel
mio caso certamente, ma in tantissimi altri casi – che un uomo può
alzarsi, muoversi, prendere una nuova direzione e farlo in questa vita,
adesso, sotto la propria responsabilità. Le azioni individuali che sono
consentite oggi sono tantissime. E il fatto che il mondo sia orientato
in un’altra direzione è la riprova che stiamo attendendo troppo.
Il piacere della vita, il senso della vita è nel tentativo di somigliare
all’idea di uomo che si ha, a quell’uomo che ancora non si è, ma che si
è certi di poter essere. Quell’uomo noi non lo siamo ancora. Occorre
smettere il più possibile, nel mio caso perlomeno, di essere ciò che si
è, e tentare di essere ogni giorno un po’ più simili all’idea che si ha
di sé. Questa è l’autenticità. L’idea che avevo di me era molto diversa
da quella che guardavo quando mi guardavo allo specchio: immaginavo un
uomo più libero, più coraggioso, più in grado di intraprendere strade
nuove, e un uomo, quindi, che fosse più motivato, più in viaggio e più
responsabile. Quando ho tentato di cambiare la mia vita nessuno me l’ha
impedito, le uniche cose che me lo impedivano erano le mie paure, e
quindi è stato anche molto più semplice del previsto tentare di
vincerle.
Buon vento.
http://www.byoblu.com/
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