L'Islanda nella trappola dell'Unione Europea
Da Monia Benini
Non
se ne parla molto. L’Islanda è rimasta nell’immaginario collettivo di
molti internauti come il ‘mito’. L’esempio da imitare, da seguire.
“Dobbiamo
fare anche noi come in Islanda!” e via a snocciolare verità parziali e
bufale di largo corso. “L’Islanda ha cancellato il proprio debito!” E
invece no; l’Islanda dovrà pagare i propri debiti; l’unica cosa che ha
ottenuto è il rimborso dei debiti di una banca privata (Icesave) nei
confronti dei clienti esteri, soprattutto olandesi e inglesi. “Gli
Islandesi hanno mandato a casa il governo!”: certo, nel 2009 sono
andati a votare perché il governo è stato costretto alle dimissioni, ma
alle urne i partiti che governavano non sono stati ‘puniti’, bensì
riconfermati. “Sono state nazionalizzate tutte le banche”: vero, ma per
breve tempo dato che all’inizio del 2011 è ricominciato il processo di
privatizzazione. Quando nella rete si strillava: “Hanno arrestato i
banchieri!”, quelli indagati continuavano la loro vita da nababbi
all’estero e non erano certo stati arrestati.
La realtà è quindi
ben diversa da quella che ci hanno raccontato e oggi i circa 360.000
Islandesi sono stati convinti che per incrementare il loro commercio,
la vendita del loro pesce e dell’elettricità, piuttosto che per
ospitare nuovi insediamenti produttivi, l’unica strada è quella di
aderire all’Unione Europea e all’Euro.
Così il Parlamento decide.
Ripeto. Il Parlamento, non i cittadini che in rete hanno contribuito a
redigere una nuova carta costituzionale (di difficilissima
applicazione). No, decide chi governa e punta in una direzione
inaspettata: dritto dritto nell’inferno della dittatura bancaria e
finanziaria.
Non ci credete?
Non resta che affidarsi ai documenti ufficiali: la risoluzione europea in risposta alla richiesta dell’Islanda di aderire all’Unione Europea e la pagina nel sito del Ministero degli Affari Esteri islandese dove si può leggere che il 17 giugno 2010 hanno preso il via i negoziati con il Consiglio Europeo per l’ingresso nella UE.
Probabilmente
qualcuno penserà che si tratti di un percorso del precedente governo,
poi bloccato dopo le elezioni politiche. No, mi spiace deludere chi ha
sprecato fiumi di inchiostro per creare il mito islandese: anche in
questo caso, sarebbe stato corretto verificare le fonti e il contenuto
delle notizie che venivano spacciate. La montatura cade di fronte
all’evidenza: il percorso dell’Islanda prosegue regolarmente anche nel
2012, come si può ben vedere dai materiali pubblicati su questa
timeline: tiki-toki.com!
A chi,
deluso e affranto (come lo sono stata io, nel momento in cui ho appreso
della notizia), è pronto a buttare il bambino con l’acqua sporca,
mandando tutti e tutto al diavolo, rispondo con la spinta positiva che
comunque arriva dall’Islanda.
Da chi ha deciso di partecipare alla
redazione della Costituzione con forme inedite di democrazia, sino a
chi propone il sorteggio a sorte dei candidati in occasione delle
elezioni, come il movimento di Kristinn Már Ársælsson. Prendendo in
prestito le parole di Maurizio Tani, un ottimo osservatore in quanto
italiano che vive e lavora da oltre 10 anni a Reykjavik, c’è da
rilevare che la rivoluzione islandese si è concretizzata “nel lavorio
di rafforzamento della collettività che viene fatto, da sinistra e da
destra (…) con forme che potrebbero scandalizzare un Italiano ma che qui
sono normali.” Come essere cittadini del mondo “rispettosi dei diritti
di tutti”, ma amando al contempo “la propria terra” e curandone
“l’identità (lingua, cultura, storia, monumenti.)”.
Gli
Islandesi avranno modo di rendersi conto dei pesantissimi costi
dell’ingresso in Europa, ma non tutti i semi che giungono dall’Isola
sono morti; ce ne sono alcuni che hanno attecchito fra i cittadini e che
mi auguro daranno frutti positivi. Credo che, da questo punto di
vista, sia giunto il momento di seguire il lavoro in corso Islanda,
superando steccati anacronistici che ci separano e ci tengono divisi,
proprio mentre invece sarebbe necessario creare la massima unitarietà
fra le forze sane del paese.
Cosa
aspettiamo ad avviare quella rivoluzione pacifica – innanzitutto
culturale – di cui c’è così urgente bisogno? Chiudiamo con il meno
peggio, con i partiti tradizionali e con i politici nuovi, vecchi e
rottamati che ci hanno portato sino qui, e lavoriamo per garantirci
un’esistenza dignitosa e un futuro vivibile.
Un doveroso ringraziamento a Lorenzo Sambri, per la segnalazione e per il prezioso lavoro di ricerca dei documenti ufficiali.
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