mercoledì 15 gennaio 2014

LO YOGA SPIEGATO
arte e metodi dell'Unione Sacra




di Anna Zilli 



Deve essere difficile per chi si avvicina per la prima volta allo Yoga capire di cosa si tratta e farsi strada in una foresta che si fa sempre più fitta di nomi esotici: dall’Hatha Yoga al Kundalini, dal Tantra al Bikram, all’Ashtanga, all’Iyengar…c’è di che scoraggiarsi.
Ma niente paura: con questo scritto cercheremo di fare luce su questa meravigliosa disciplina antica di millenni, che nasce in India in tempi e modi leggendari.
Partiamo dal significato della parola stessa: yoga è un termine sanscrito che sta a significare “unione”; ha la stessa radice del termine italiano “giogo” e dell’inglese “yoke” (che ha lo stesso significato). 


Ma unione di cosa? Nella filosofia Yoga, l’Atman, o anima individuale, presente in tutti noi, è come la goccia di un oceano cosmico che è chiamato Brahman (da non confondere con Brahma, una delle divinità della Trinità Indù, la Trimurti). E’ dunque nella sua essenza, la stessa cosa. L’Atman individuale anela all’unione con l’oceano cosmico, di cui è intrinsecamente parte sebbene separata durante l’incarnazione sulla Terra. Questa unione è appunto lo Yoga, o meglio, la disciplina Yoga permette che questa unione avvenga, attraverso una serie di esercizi che coinvolgono e preparano corpo e mente. 



Qual è il nesso tra questa premessa e la realtà policroma dei vari tipi di Yoga disponibili sul mercato? Secondo la filosofia Yoga, l’esperienza di unione con la coscienza cosmica è talmente potente da rendere necessario preparare corpo e mente, rafforzandoli e purificandoli. Il corpo e la mente vengono rafforzati, purificati, ed equilibrati attraverso le posizioni (Asana) dell’Hatha Yoga, attraverso una respirazione corretta e controllata (Pranayama), attraverso il rilassamento e la meditazione (Dhyana).


Tradizionalmente esistono diversi sentieri dello Yoga, ognuno adatto ai diversi tipi di personalità e di inclinazioni di ogni individuo, ma che hanno la stessa funzione e lo stesso scopo.


Iniziamo col parlare del tipo di Yoga a noi forse più familiare, l’Hatha Yoga. Questo è lo Yoga dell’equilibrio e della purificazione di corpo e mente. In un’introduzione all’Hatha Yoga Pradipika, uno tra i testi tradizionali fondamentali di questa disciplina, si legge che Ha e Tha significano rispettivamente prana, o energia vitale e mente. Quindi Hatha Yoga sarebbe l’unione dell’energie praniche e mentali, attraverso la purificazione e il rafforzamento del corpo.
 E’ lo yoga che tende all’equilibrio psico-fisico e che prevede una serie di posizioni, Asana, di esercizi di respirazione, di contrazioni e tecniche di purificazione (Kryia), di concentrazione mentale. Per semplificare, nell’ambito dell’Hatha Yoga, rientrano anche l’Ashtanga Yoga, un tipo di Yoga più dinamico e coreografico di quello tradizionale, sebbene si tratti essenzialmente delle stesse posizioni ed esercizi ma svolti con modalità e tempi diversi; lo Yoga secondo il metodo del Maestro Iyengar, uno yoga molto dinamico e vigoroso, che si avvale dell’ausilio di elementi come mattoncini, corde, aste; ilKundalini Yoga, in cui le Asana, le posizioni, vengono tenute il più a lungo possibile per risvegliare le facoltà interiori in modo più rapido, e l’ultimo acquisto, Bikram Yoga, un tipo di yoga dinamico svolto in stanze surriscaldate. L’Hatha Yoga è la tipologia di Yoga più praticato in ambito occidentale.



Gli altri sentieri principali dello yoga sono:
Il Raja Yoga, che è lo yoga della meditazione, della concentrazione mentale, del controllo della mente, dei sensi e della sfera emotiva. E’ soprattutto incentrato sulla meditazione. 
Il Bhakti Yoga, lo yoga devozionale, praticato essenzialmente attraverso rituali (puja), letture dei testi sacri, recitazione di mantra, canto di Bhajan e Kirtan (canti devozionali).
Lo Jnana Yoga, lo yoga della speculazione intellettuale, basato principalmente sullo studio e sull’analisi dei testi sacri, sull’autoanalisi e sulla meditazione. 
Il Karma Yoga, che è lo yoga dell’attività, della retta azione e del lavoro disinteressato.



Tutti questi tipi di yoga hanno in comune la stessa filosofia. Alcuni dei suoi concetti base sono: il mondo così com’è è un’illusione, (Maya)non nel senso che non esiste, ma che è mutevole e temporaneo, e che oltre alla sua dualità esiste una realtà eterna ed immutabile, dove regna l’unità. Secondo la stessa filosofia l’essere umano non è composto di un solo corpo fisico, ma di una serie di altri corpi, più sottili e non percepibili dai sensi fisici, se non adeguatamente allenati, che operano in realtà anch’esse più sottili. Il corpo più vicino a quello fisico è il corpo astrale, una sorta di “doppio” più sottile del corpo fisico, il quale è strettamente collegato al corpo fisico, e che contiene 7 centri energetici principali, chiamati chakra, disposti lungo la spina dorsale, che corrispondono ai principali plessi del nostro corpo, e una miriade di centri energetici minori e di canali energetici, chiamati Nadi, attraverso i quali passa l’energia cosmica o vitale (Prana). L’essere umano, nel suo percorso di unione con l’energia cosmica, risveglia, attraverso le pratiche yoga, le sue facoltà mentali ed interiori, espandendo così la sua consapevolezza. Abbiamo sentito sicuramente già parlare delle teorie secondo cui utilizziamo solo una piccolissima parte delle nostre facoltà mentali; lo yoga contribuisce a svilupparle e manifestarle.


Va da sé che un articolo esaustivo sullo Yoga non potrà essere mai scritto, in quanto ogni tipo di Yoga menzionato (senza contare gli altri sentieri che per motivi di spazio non sono stati neanche nominati) meriterebbe un volume ( e ne esistono diversi numeri ) a parte.


Quel che è certo è che ogni aspetto di questa meravigliosa e vastissima disciplina che è lo Yoga porta a uno stesso risultato: un corpo più forte, più flessibile e più sano, una mente più serena e più controllata, un’emotività più stabile e più equilibrata, un atteggiamento verso la vita più gioioso, più consapevole e responsabile. Una vera e propria scuola di vita quindi, che ci insegna a ristabilire un rapporto amorevole ed equilibrato con noi stessi, con gli altri, con l’ambiente che ci circonda e con la Natura, in tutte le sue manifestazioni. 


I chakra, ruote di energia vitale.


Cerchiamo di addentrarci un po’più in quella che è la filosofia Yoga, le colonne che reggono questa meravigliosa pratica millenaria. Proprio a cause dell’antichità di questa disciplina, gli antichi testi vedici sono pieni di numerose leggende, tra cui forse la più poetica è quella di Matsyendra. Si narra che il dio Shiva, padre dello Yoga, insegnasse le pratiche alla sua consorte Parvati, cantando, come era nell’antica tradizione orale , lungo la spiaggia dell’isola su cui vivevano bagnata dall’Oceano Indiano. Sembra che un pesce molto sensibile rimanesse affascinato dalla voce melodiosa di Shiva e dalle pratiche insegnate e provasse e riprovasse in segreto a ripeterle finché un giorno si trasformò in un uomo. Matsyendra infatti in sanscrito significa “pesce trasformato in uomo”. 
Gli insegnamenti dello Yoga si trovano in diversi testi antichissimi, tra cui i 4 Veda: il Rig Veda, Samar Veda, Yajur Veda e Atarva Veda. Da questi testi si formarono sei scuole filosofiche principali, i seiDarshana (Waisheshika, Samkya, Parva Mimansi, Utthana, Yoga e Vedanta). Tutte queste scuole hanno come obiettivo comune quello di portare il discepolo all’autorealizzazione, allo stato di supercoscienza e di unione col cosmo conosciuto come Samadhi. Le scuole che si sono maggiormente affermate in Occidente sono lo Yoga e il Vedanta. 



Secondo la filosofia Yoga, il corpo umano e tutto l’Universo sono pervasi da un’energia vitale chiamataPrana: la nostra vitalità, salute, benessere dipendono dal flusso equilibrato di questa energia che scorre attraverso migliaia di canali energetici, chiamati Nadi. Stiamo parlando del corpo sottile dell’uomo, quello che non è visibile all’occhio fisico. Nel numero scorso abbiamo detto come per la filosofia Yoga il nostro corpo fisico è solo una parte di tutto il nostro essere. Oltre al corpo fisico vi è un corpo più sottile, a più alta vibrazione che è il nostro corpo eterico o corpo astrale, dotato di sensi e centri energetici invisibili che corrispondono ai sensi e ai centri del corpo fisico. Lungo la spina dorsale abbiamo il canale Sushumna, la Nadi più importante, lungo il quale scorre l’energia vitale, e lungo il canale Sushumna sono presenti diversi centri energetici, chiamati Chakra (in sanscrito “Ruote”) che corrispondono ai principali plessi. A sinistra e a destra del Sushumna rispettivamente abbiamo altre due Nadi maggiori , Ida e Pingala.


I Chakra maggiori sono sette; si iniziano a contare dalla base della spina dorsale verso l’alto. Ognuno di essi corrisponde a diverse qualità, elementi ed hanno un diverso colore (alcuni testi differiscono da altri nella definizione dei colori); vengono rappresentati come dei fiori con dei petali (corrispondenti alle Nadi convergenti) di diverso numero e colore.


Alla base della spina dorsale, all’altezza del coccige troviamo il MULADHARA CHAKRA a 4 petali, elemento Terra, di colore Rosso, corrispondenza con le ghiandole surrenali. E’ il chakra degli istinti e dei bisogni primordiali, del bisogno di sicurezza.

SVADHISTHANA CHAKRA si trova all’altezza degli organi genitali, a 6 petali, elemento Acqua, colore Arancio, corrispondenza con gli ormoni sessuali. E’ il chakra dell’energia vitale e della creatività, dell’espressione delle emozioni.

MANIPURA CHAKRA , all’altezza dell’ombelico o del plesso solare, a 10 petali, elemento Fuoco, colore giallo, corrispondenza con il pancreas. E’ il chakra della volontà, dell’affermazione di sé.

ANAHATA CHAKRA, all’altezza del cuore, a 12 petali, elemento Aria, colore verde, corrispondenza con il timo. Si dice sia la sede del nostro vero Sé, del Jiva Atman, o anima individuale. E’ il chakra dell’amore incondizionato, dell’accettazione, della tolleranza, della compassione.

VISHUDDHA CHAKRA, all’altezza della gola, a 16 petali, elemento etere, colore blu, corrispondenza con la Tiroide. E’ il chakra della comunicazione, dell’espressione, della purificazione.

TRIKUTI O AJNA CHAKRA, tra le due sopracciglia, a 2 petali, colore indaco, corrispondenza con l’Ipotalamo. E’ il terzo occhioil chakra della conoscenza spirituale.

SAHASRARA CHAKRA, chiamato il loto dai mille petali, sulla sommità del capo, all’altezza della “fontanella”, colore viola o oro, corrispondenza con la ghiandola pineale. E’ il chakra della totalità, della conoscenza cosmica e universale, dove tutto è uno.

Le pratiche yoga aiutano a mantenere i chakra in buono stato e in equilibrio, e contribuiscono a far scorrere l’energia vitale, il Prana liberamente, senza ostacoli e blocchi.
Nel Muladhara Chakra dorme assopita l’energia cosmica, chiamata Kundalini o Shakti, che con le pratiche yoga viene lentamente risvegliata. Al suo risveglio, essa attraversa il canale Sushumna irrorando e aprendo via via tutti i Chakra lungo di esso e risvegliando il discepolo alla coscienza cosmica. Quando la Kundalini raggiunge il Sahasrara Lotus avviene l’unione cosmica, il Samadhi. Questo “punto di arrivo” esiste in tutti i percorsi spirituali , sebbene venga chiamato in modo diverso nelle diverse tradizioni e sebbene si possa raggiungere con tecniche diverse. E’ quello che per i Cristiani viene chiamato Estasi, per i Buddisti Nirvana, per gli Alchimisti Pietra Filosofale, solo per citare alcune tradizioni.
Lo Yoga è solo una delle tante strade che portano alla conoscenza diretta del Divino.



Filosofia Yoga: la teoria dei Guna come chiave di lettura del mondo 


I Guna: le “tre qualità” della realtà manifesta.


Continuando il nostro cammino di conoscenza della filosofia Yoga, non potevamo non soffermarci su un argomento affascinante come quello dei Guna. Secondo tale filosofia, tutta la Natura, la creazione, la realtà manifesta, la materia o sostanza cosmica, per cercare di tradurre letteralmente il termine sanscrito Prakriti, è definibile e classificabile in base alle tre “qualità” che la caratterizzano, i Guna:Rajas, Tamas e Sattva. Queste qualità sono presenti in diversi gradi in tutti gli oggetti ed esseri, dai più grossolani ai più sottili, compresi mente, intelletto ed ego. I Guna operano a livello fisico, mentale ed emotivo. 
Rajas è il Guna dell’attività, del movimento, dell’azione; Tamas è la qualità della stasi, della pigrizia, dell’inerzia, della staticità. Sattva è la qualità dell’equilibrio, dell’armonia, della serenità. Questi elementi non si trovano mai da soli, allo stato puro; un oggetto, un’attività, un’emozione, un individuo, non sono mai puramente rajasici, tamasici o sattvici, ma risultano essere una combinazione delle tre qualità in cui una prevale sulle altre in un determinato momento. 



Tutta la Natura è caratterizzata da queste qualità: dalle stagioni, alle ore della giornata, ai cibi, alle attività mentali, ai colori, ai suoni e molto altro. 
Per quanto riguarda le stagioni ad esempio, l’inverno è una stagione prevalentemente tamasica, fredda e in cui le attività e i cicli si rallentano (nel caso di noi umani almeno dovrebbero rallentarsi!), così come le ore notturne, le più adatte al riposo, in cui le funzioni degli organi si rallentano . Per contro l’estate è una stagione prevalentemente rajasica, dovuta alla presenza eccessiva del sole , del calore e della luce, così come lo sono le ore diurne, più adatte alle attività e al movimento. Autunno e primavera invece sono stagioni prevalentemente sattviche , dove le temperature e la quantità di luce non sono eccessivi, e così le attività connesse. 



Per quanto riguarda i cibi, sempre secondo la filosofia Yoga , questi soggiacciono alla stessa legge dei Guna; ci sono dunque cibi rajasici, tamasici e sattvici. Se immaginiamo un albero di mele, noteremo che alcuni frutti sono maturi al punto giusto (sattvici), altri sono ancora acerbi (rajasici) ed altri ancora sono eccessivamente maturi (tamasici). Tra i cibi tamasici, che tendono a intossicare ed intorpidire l’organismo ci sono carne, tabacco, alcol, cipolle ed aglio, cibi fermentati. Tra i cibi rajasici, che stimolano ed eccitano eccessivamente, sono tutti i cibi piccanti, amari, acidi e salati; quindi spezie piccanti, erbe forti, tè e caffé, pesce, uova, sale e cioccolato.
I cibi sattvici sono invece quelli che portano equilibrio e leggerezza all’organismo, senza appesantirlo né sovreccitarlo, quindi cereali integrali, frutta e verdure fresche, latte, burro e formaggio, legumi, noci, semi, germogli e miele. 



Per quanto riguarda la natura umana, abbiamo anche qui personalità rajasiche, tamasiche e sattviche. Un individuo prevalentemente tamasico è pigro ed immerso in uno stato di torpore; una personalità rajasica è passionale, affettuosa, ma può anche essere avida ed eccessiva nelle manifestazioni emotive; può essere volubile, ambiziosa ed orgogliosa. Un individuo sattvico è generoso ed autocontrollato; ha una mente tranquilla e senza malizia, è non violento, onesto e scevro da rabbia. 


La pratica costante dello Yoga porta gradualmente l’individuo a trasformarsi in una persona sattvica, equilibrata ed armoniosa. La mente sattvica non si altera con eccessi di caldo o freddo, né di fronte al successo o alla catastrofe. E’ andata oltre l’attrazione esercitata dai Guna; è una mente libera. 
Un esercizio interessante che ognuno di noi può effettuare è quello di osservare i nostri comportamenti e quelli di chi ci circonda; di osservare i nostri pensieri, il modo in cui parliamo, camminiamo; quello che mangiamo e beviamo e come lo mangiamo e beviamo; e provare, come se fosse un gioco, a “classificare” questi elementi in base alla tripartizione dei Guna. 
E’ chiaro che in un percorso di Yoga si dovrebbe aspirare a raggiungere uno stile di vita e a una forma mentis sattvica, eppure, passato un livello di conoscenza iniziale, la filosofia vedanta ci insegna che comunque “la verità ultima si trova al di là dei Guna”. 



Gli otto stadi (ashtanga) dello Yoga.


1.2. Yama e Niyama 


Secondo il filosofo Patanjali, lo Yoga si può suddividere in otto parti o stadi:
1. Yama (i comandamenti morali universali); 
2. Niyama ( auto-purificazione attraverso la disciplina); 
3. Asana (posizioni); 
4. Pranayama (controllo ritmico del respiro); 
5. Pratyahara ( ritiro ed emancipazione della mente dal dominio dei sensi e degli oggetti esterni); 
6. Dharana (concentrazione); 
7. Dhyana (meditazione)  
8. Samadhi ( stato di super coscienza che si raggiunge attraverso la meditazione profonda , in cui un aspirante (sadhaka) diviene uno con l’oggetto della sua meditazione – in questo caso con Paramatma o lo Spirito Universale).
Tale sistema è anche chiamato Ashtanga – ovvero degli otto elementi – da non confondere con il sistema di asana che prende il nome di Ashtanga yoga



Negli Yoga Sutra di Patanjali Yama è il primo elemento dell’Ashanga Yoga. È in sostanza la disciplina etica da cui l’aspirante yogi deve partire; sono una serie di prescrizioni universali che trascendono ogni credo, paese, età. 


Yama è costituito da : Ahimsa, Satya, Asteya, Brahmacharya e Aparigraha


Ahimsa- o non violenza: significa letteralmente non violenza o non uccidere, ma ha un significato più esteso di amore, dell’amore che abbraccia tutta la creazione. Lo yogi crede che ogni forma di violenza o distruzione sia un insulto alla creazione. Per questo cerca di adottare una dieta vegetariana, sebbene i semi della violenza siano nella mente. La violenza è generata dalla paura, dalla debolezza e dall’ignoranza. La violenza è soprattutto anche nei pensieri e nelle parole. Per liberarsi dalla potenza distruttiva della violenza è necessario un cambiamento nella visione del mondo e della vita. Lo yogi è cosciente del fatto che tutto è collegato, e si impegna a non compiere torti. Egli crede che un torto fatto da lui stesso necessiti giustizia; che un torto fatto da altri necessiti compassione e perdono. Di pari passo alla libertà dalla violenza vi è la libertà dalla paura e dalla rabbia. 


Satya – o verità. Cioè il vivere secondo le regole della verità, pensando, dicendo e vivendo la verità e nella verità. Vivendo in questo modo ci si allinea con l’Infinito, che è verità. Ogni forma di non verità e disonestà ci pone in una posizione di non equilibrio con la legge fondamentale della verità. 


Asteya – il non rubare, in senso più esteso il non desiderio di possesso di ciò che appartiene agli altri. Non rubare non significa soltanto non appropriarsi di qualcosa che appartiene a qualcun altro senza permesso, ma anche non usare qualcosa per uno scopo diverso da quello per cui quella cosa era stata contemplata, o ben oltre il tempo per la quale quella cosa era stata progettata. Questo senso dell’essenzialità induce lo yogi ad aver bisogno solamente dello stretto necessario e a superare ogni forma di brama e di avidità, elementi questi che portano al compimento di azioni non corrette e fonti quindi di sofferenza. 


Brahmacharya – o continenza. Dai più la continenza è intesa quasi esclusivamente come quella sessuale, in tal modo si pensa allo yoga come ad una disciplina di rinuncia e di mortificazione. Al contrario quella sessuale è solo una delle possibilità di significato del termine continenza. Continenza è anche controllo della mente, della parola e delle azioni. La continenza sessuale non dovrebbe mai essere imposta, ma accettata e praticata solo qualora l’individuo si sentisse pronto per un simile percorso. Bramacharya significa allora una vita dedicata allo studio, alla pratica spirituale e all’autocontrollo, di corpo e mente. 


Aparigraha - o il non accumulare. È un altro aspetto del non rubare. È il non accumulare ciò di cui non abbiamo realmente bisogno ed anche il non accettare ciò che viene offerto senza avervi lavorato sopra. La vita dello yogi che segue questi insegnamenti è dunque semplice ed essenziale; lo yogi non sente la mancanza di ciò di cui può essere privato, anche solo temporaneamente. In questo stato mentale, tutto ciò di cui egli ha realmente bisogno arriverà nei modi e nei tempi giusti. Aparigraha è la capacità di essere in uno stato di soddisfazione continua. 


Niyama - Sono le regole di condotta che si applicano alla disciplina individuale, laddove Yama sono universali nella loro applicazione. 


I cinque Niyama elencate da Patanjali sono:
saucha (purezza), santosha (contentezza), tapas (austerità), svadhyaya (studio del Sé) e Ishvara pranidhana (devozione al Signore). 



Saucha – purezza. La purezza del corpo è fondamentale per il benessere, ma lo è anche la purezza della mente e delle emozioni. Questa pulizia interna porta gioia, benevolenza e benessere, bruciando così ogni forma di dolore mentale. Questo si può ottenere anche adottando una dieta adeguata, parca e di alta qualità. Anche il posto dove si sceglie di vivere e praticare ha la sua importanza. 


Santosha – contentezza. È una qualità che lo yogi deve coltivare. Una persona contenta è una persona completa che vive nella verità e nella gioia. Santosha è anche tranquillità, uno stato mentale di pace. 


Tapas – deriva da un termine che significa ardore, bruciore, che qui viene inteso come austerità. È lo sforzo bruciante richiesto per la pratica spirituale, è il desiderio di crescere spiritualmente che prepara l’individuo a sostenere le prove nel cammino spirituale. E’ una forma di disciplina corporea, mentale e spirituale. 


Svadhyaya – studio del Sé. È una sorta di educazione del Sé. È osservazione di se stessi e miglioramento di se stessi, ed è anche lo studio di testi sacri che portano alla conoscenza di se stessi, alla conoscenza della propria essenza e all’unione con il divino. 


Ishvara pranidhana – è il dedicare tutte le proprie azioni al divino, è la fede che si ha nel divino. È la consapevolezza che tutto dipende e viene dal divino, è devozione. È lo stato in cui la mente si spoglia di ogni senso di gratificazione personale. 


3. ASANA: le posizioni. Meravigliosi strumenti di equilibrio psico-fisico e progresso spirituale 
Le Asana portano benessere, salute ed equilibrio. Cercando di mantenere le varie posizioni ben salde e senza vacillare o senza provare sensazioni di fastidio, aiutiamo la mente e la sfera emozionale a raggiungere gradualmente la stessa stabilità, lo stesso equilibrio. Operando sul corpo stiamo operando sulla mente e sulla sfera emotiva. Le Asana non sono dei movimenti o delle pose puramente ginniche: sono delle posizioni, elementi che vanno ben oltre l’attività fisica. 



Tutto quello che serve per praticare le Asana è molto semplice e alla portata di tutti: un piccolo spazio pulito e ben areato, un tappetino o una coperta piegata e un po’ di determinazione. Non servono altri strumenti. Praticandole si sviluppano agilità, flessibilità, equilibrio, resistenza e una grande vitalità. Le Asana sono state create e sviluppate per secoli in modo tale da coinvolgere ogni muscolo, nervo o ghiandola del nostro corpo. Il corpo si trasforma sotto il potere delle Asana, diventando flessibile, forte, sano ed elastico. Praticandole ci liberiamo dalla stanchezza, dall’affaticamento, da ogni tensione e stress. Ma la loro importanza sta nel fatto che aiutano ad allenare la mente e a renderla disciplinata. Chi pratica lo yoga acquisisce il controllo del corpo con le Asana, e lo rende uno strumento adeguato per lo spirito, un tempio adatto ad ospitare la propria anima, piccola goccia dell’Oceano cosmico, della sua stessa natura e sostanza. 


Praticando le Asana, lo yogi acquisisce uno stato di salute, che non è semplice assenza di malattia, ma perfetto equilibrio tra corpo, mente e spirito. Lo yogi diviene consapevole del fatto che la vita che scorre nel suo corpo è la stessa che scorre al di fuori di esso, tutto intorno: nel battito del suo cuore e nel ritmo del suo respiro, riconosce il ciclo delle stagioni e il pulsare delle vita universale. Il suo corpo è il tempio della sua anima, e quindi trascurare il proprio tempio equivale a negare la vita universale di cui egli è parte integrante. I bisogni del corpo sono i bisogni dello spirito universale che vive attraverso il corpo. Corpo e mente sono una meravigliosa unità ed è nostro dovere prenderci cura di entrambi. Lo yogi quindi non trascura mai il suo corpo, né lo mortifica – pur non diventandone schiavo - , e fa la stessa cosa con la sua mente. Il corpo dunque non è uno strumento di perdizione o un ostacolo al suo progresso spirituale, ma un meraviglioso mezzo. Per avere un’esperienza di unione cosmica è necessario avere un corpo sano, forte, vigoroso e una mente stabile e serena.


I nomi delle varie Asana sono molto significativi: sono presi in prestito dalla natura, dai vari regni: vegetale, animale e minerale. Così abbiamo le posizioni dell’albero e del loto, le posizioni della montagna e del diamante. Ci sono le posizioni degli insetti, come la locusta e lo scorpione; o di animali acquatici e anfibi: dal pesce alla tartaruga, alla rana, al coccodrillo. Ci sono posizioni che portano il nome di uccelli: dal pavone, al piccione al gallo, al corvo; e Asana dal nome di mammiferi: il cane, il cammello, il leone. C’è poi la posizione di un serpente, del cobra, fino ad arrivare a quella dell’embrione. Alcune posizioni sono poi evocative di eroi e personaggi illustri della mitologia indiana; altre portano il nome di alcune divinità indù. 


Mentre pratica le Asana , lo yogi assume quindi le forme e gli atteggiamenti di varie creature. La sua mente viene così abituata a non disprezzare ed evitare nessuna creatura, perché sa che ognuna di esse è un’espressione dello Spirito Universale che tutto pervade e che assume ogni forma, ma che è nella sua essenza, senza forma. La sua mente trova quindi l’unità nell’universalità. 


Lo scopo delle Asana è quello di percepire questa unità, questo flusso continuo di energia universale nel corpo e nella mente del praticante
Con la pratica costante delle Asana, ogni dualità scompare, tutto ciò che ha un suo opposto, e quindi perdita-guadagno, vittoria-sconfitta, fama-vergogna, corpo-mente svanisce, sostituito da un senso di unità, di coesione, di unione. 
Lo stadio successivo alle Asana nell’Ashtanga Yoga è Pranayama, il controllo del respiro. Si tratta di una pratica importantissima e molto particolare, che richiede molto tempo, attenzione e accortezza per raggiungere una vera e propria padronanza. È il controllo non solo del respiro, ma dell’energia vitale e universale, che in Sanscrito appunto si chiama PRANA.



4. 5. Pranayama e Pratyahara : la scienza del respiro e del controllo dei sensi.


Il nostro percorso di conoscenza della filosofia dell’Ashtanga Yoga, lo Yoga degli otto elementi prosegue con il quarto elemento, uno tra i più importanti della disciplina Yoga, vale a dire il Pranayama, che significa letteralmente “controllo del respiro”.


Non ci dilungheremo sull’importanza del respiro per la nostra esistenza, in quanto esso è l’essenza stessa della vita. Proprio per l’importanza vitale di questo elemento, per lo Yoga il controllo del respiro è un fondamento assoluto per una vita sana e per una mente serena e consapevole. In senso più esteso il termine sanscrito Prana ha diversi significati: può indicare respiro, vita, vitalità, energia, forza. Generalmente per Prana si intende l’energia vitale che permea non solo il nostro corpo e il nostro essere ma anche l’universo intero. Ayama significa lunghezza, estensione, durata, controllo. Ciò significa che il controllo avviene su tutte le fasi del respiro, quindi sull’inspirazione - Puraka, l’espirazione – Rechaka e la ritenzione - Kumbaka. 


Quest’ultima fase è in effetti di due tipi: la ritenzione dopo l’inalazione e quella dopo l’esalazione. Il Pranayama può dunque definirsi come la scienza del respiro. Lo Yogi impara a respirare lentamente e profondamente finché questo nuovo modo di respirare non diventa naturale. Il respiro yogico rafforza l’apparato respiratorio, calma il sistema nervoso e riduce i desideri eccessivi. Quando i desideri diminuiscono la mente si libera e diventa uno strumento adeguato per la concentrazione. La scienza del Pranayama richiede molto tempo per essere appresa adeguatamente e non può prescindere dalla presenza di un insegnante competente. Se praticata in modo scorretto può portare molti fastidi e disagi. È sempre consigliabile imparare ad inspirare e ad espirare correttamente prima di praticare la ritenzione. 


Secondo la scienza dello Yoga, mentre respiriamo – pur non essendone consapevoli – recitiamo senza sosta, per tutta la durata della nostra vita sul piano fisico un mantra fondamentale : “So Ham” – “Io sono Quello”, vale a dire Io sono l’Assoluto. L’alternarsi delle fasi del respiro si possono leggere dunque come una preghiera costante, una continua affermazione della nostra essenza divina, della nostra partecipazione alla vita universale. Il respiro che anima il nostro corpo non è altro che il riflesso in miniatura del respiro del cosmo stesso. Attraverso il Pranayama si cerca di adattare, di armonizzare il nostro respiro con il respiro dell’universo.


Il controllo del respiro è strettamente collegato a una mente rilassata. Controllando il respiro controlliamo la mente e la rendiamo calma e tranquilla, e lo stesso avviene per la sfera emotiva. Solo in questo stato di pace mentale si può vivere una vita sana e gioiosa e si possono sperimentare altri stati di coscienza. Controllando il respiro e calmando la mente, possiamo prepararla alla pratica della meditazione. Consequenziale al Pranayama è lo stadio successivo dell’Ashtanga Yoga, Pratyahara. Questo è il controllo dei sensi , l’emancipazione della mente dal dominio dei sensi e degli oggetti esterni. È l’emancipazione dall’essenza duale della realtà manifesta. Secondo la filosofia Indù la realtà manifesta è suddivisa in tre tipologie, Rajas, Tamas e Sattva. I primi due sono le due polarità che ben conosciamo, ad esempio caldo-freddo; luce-buio ecc. Mentre Sattva è la qualità dell’equilibrio, dell’armonia. Lo Yogi deve all’inizio del proprio percorso cercare di spostarsi il più possibile verso la sfera Sattva, ma una volta raggiunto questo scopo, suo compito è di trascendere anche questo stadio, per arrivare a un superamento della dualità e alla conoscenza del non-duale, del permanente. Si può raggiungere questo stadio ultimo attraverso una pratica importantissima: Dhyana, la Meditazione.


7. Dhyana: la meditazione.


La meditazione è il penultimo stadio dell’Ashtanga Yoga ed è una pratica molto diffusa in numerose discipline orientali e sta prendendo piede sempre di più anche in occidente.
A differenza del significato che acquisisce il termine meditazione in occidente - vale a dire il pensare, concentrarsi ed analizzare un oggetto, un’idea, una qualità, una situazione - la meditazione in oriente assume un significato completamente diverso, quasi incomprensibile per un occidentale: è uno stato in cui la mente è calma, silenziosa, in cui non è attraversata da pensieri. È uno stato di quiete in cui la mente non è passiva, ma attiva e vigile. È uno stato di profonda consapevolezza e presenza, in cui vi è spazio per altri stati di coscienza dove può affiorare gradualmente la nostra interiorità. In questo senso la pratica della meditazione è una tra le più semplici e più difficili in assoluto. Non vi sono libri da leggere o testi da studiare, ma soltanto una pratica costante da svolgere. 
È una pratica di una semplicità tecnica estrema. Consiste nel sedersi su una superficie dura, preferibilmente a gambe incrociate ma anche su una sedia, nel mantenere la spina dorsale eretta, nel chiudere gli occhi e lentamente, concentrandosi sui movimenti della respirazione, aiutare la mente a mettere a tacere i pensieri finché non raggiunge uno stato di quiete. La meditazione in ultima analisi è una pratica che ci mette in contatto con la nostra interiorità e con il mondo dello spirito: la pratica costante però ha degli effetti tangibili sul nostro corpo, la nostra mente, la nostra emotività, il nostro benessere generale. 



Un numero di studi scientifici ha dimostrato che la meditazione aiuta a controllare e ad eliminare disturbi quali: ipertensione leggera, ansia, agitazione, insonnia; può aiutare ad aumentare le difese immunitarie, i livelli degli anticorpi, abbassare la pressione sanguigna – ovviamente senza l’uso di farmaci. Il rilassamento che ne consegue migliora la regolazione del glucosio nei diabetici, abbassa i livelli di colesterolo, risulta utile anche per contrastare l’asma. La meditazione, oltre ad avere un effetto benefico sul corpo, allevia tensioni e stress e ci aiuta ad affrontare la quotidianità con più chiarezza, tranquillità ed equilibrio. Riducendo le tensioni di tipo psicologico ed emotivo, aiuta anche a liberarci da diverse dipendenze; aiuta inoltre a liberare la nostra creatività, non solo a livello artistico ma anche in termini di soluzioni alternative a problematiche varie. Con la meditazione possiamo ripulire la nostra memoria da frustrazioni, ricordi ed esperienze negative e ri-programmare così il nostro subconscio. Secondo la filosofia Yoga, la mente prende la forma dell’oggetto che contempla. Contemplando quindi la quiete, la pace, o un simbolo sacro, la mente assume gradualmente le caratteristiche di quiete, pace o di quel simbolo.


La meditazione esiste in tutte le tradizioni spirituali sia orientali che occidentali; utilizza dunque mezzi diversi ma ha lo stesso filo conduttore e porta allo stesso risultato.
Facciamo un rapido excursus culturale per averne un’ idea.
Alcune scuole di pensiero fanno nascere la pratica della meditazione dai Veda, gli antichi testi di sapienza indiana che si dice risalgano a circa 5000 anni fa. La meditazione si praticava concentrandosi su un mantra, o sulla visualizzazione di un simbolo , o sulla fusione dei centri energetici del cuore e della mente. Anche Buddha approfondì la pratica della meditazione nel V secolo A.C, ed è presente nel Libro del Tao attribuito a Lao Tzu, vissuto nel VI secolo A.C. . Patanjali ne scriveva i principi e i metodi nel II-III secolo A.C. e circa 1500 anni fa Bodhidarma, maestro indiano, diffuse in Cina le sue tecniche meditative che presero il nome di Zen.



Anche nella tradizione ebraica esiste la meditazione, codificata negli insegnamenti della Cabbalah, così come nel cristianesimo, in cui alcuni santi – da Ignazio di Loyola a Teresa D’Avila – hanno tramandato esercizi spirituali in forma di meditazioni. È presente anche nell’Islam, soprattutto negli insegnamenti dei Sufi.
In epoca moderna ricordiamo gli insegnamenti di Aurobindo, di Gurdjeff, di Yogananda, Osho, di Krishnamurti , della meditazione Vipassana, Trascendentale, sciamanica, solo per citarne alcuni.



Ma vediamo cosa succede all’organismo mentre meditiamo. Le nostre onde cerebrali variano a seconda dello stato in cui ci troviamo. Durante la veglia il nostro cervello lavora sulla frequenza delle onde Beta. Sono onde brevi, tra le 20 e 13 oscillazioni al secondo, tipiche della piena attività. Man mano che ci rilassiamo, le onde cerebrali rallentano e prendono il nome di Alfa, con una frequenza tra gli 8 e i 13 cicli al secondo. In questo stato la coscienza è ancora vigile, ma il corpo è rilassato e i movimenti ridotti al minimo. È lo stato del dormiveglia e del risveglio. Quando il rilassamento si fa ancora più profondo , il nostro cervello viaggia sulle onde Theta, con una frequenza di 4-7 cicli al secondo. È il livello del sonno e della fase dei sogni. Il cosciente perde sempre più il controllo e ci si abbandona al subconscio. Si tratta già di un’altra dimensione, con regole diverse e percezione diversa, in cui anche gli organi di percezione sono diversi. La dimensione del sogno ha infatti regole e possibilità completamente diverse da quelle della veglia, ma non possiamo di certo affermare che siano meno reali di quelle a cui siamo abituati in uno stato di onde Beta!! E non possiamo dimenticare che il sogno era nelle tradizioni antiche un mezzo potentissimo di conoscenza, divinazione ed ispirazione. Lo è tuttora, sebbene non vi dedichiamo più la dovuta attenzione. 


Un’altra fase di rilassamento ancora più profondo si ha con le onde Delta, che arrivano a 3-4 cicli al secondo. In questo stato il cosciente è inibito, le funzioni dell’organismo sono al minimo e il subconscio è totalmente aperto. È lo stato del sonno senza sogno, dove regna una conoscenza di tipo intuitivo. In alcune tradizioni è lo stato che corrisponde all’estasi, chiamata con nomi diversi. In questo stato però la mente è vigile e cosciente – stato che si riesce a raggiungere con anni e anni di pratica costante.


Nella filosofia Yoga questo stato si chiama Samadhi, che è il fine ultimo dello Yoga: l’unione cosmica, la fusione nell’oceano di consapevolezza. È uno stato che non si può descrivere a parole, per questo non ne parliamo. Possiamo solo augurarci un giorno di poterne assaporare anche solo un istante.


Anna Zilli - 2006-2007
 fiorigialli.it/

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