giovedì 9 agosto 2012

IO PARLO, TU PARLI, CHI ASCOLTA?



L'ASCOLTO E L'OSSERVAZIONE

Cosa vuol dire ascoltare? Che differenza c'è tra udire e ascoltare?

Udire è istintivo, accade quasi nostro malgrado. Ascoltare è una facoltà, una decisione intellettuale. Il 40% del tempo che passiamo da svegli è impiegato nell'ascolto. Ma l'ascolto "reale" è molto meno. Nell'uomo domina il bisogno di esprimersi e parlare è la manifestazione di tale bisogno di manifestarsi, di esistere. L'uomo ha bisogno di parlare per avere la sensazione di esistere.
Questo significa che fermare chi sta parlando, non dargli ascolto, dare la sensazione di non interesse, di noia, di banalità, è come negarne l'esistenza. E l'altro reagirà per forza, per sopravvivere...
Il problema è che, avendo tutti noi questo bisogno di esprimerci, nella relazione con l'altro abbiamo due bisogni di esistere che si realizzano sopprimendosi a vicenda. Da qui nasce l'Arte dell'Ascolto. 
A volte ci sono situazioni in cui ci sentiamo obbligati ad ascoltare, e subiamo il parlare noioso e logorroico dell'altro: ma che rapporto c'è tra questo ascolto che possiamo chiamare "ascolto passivo" e il proprio senso di autostima? 
Come mi sento mentre l'altro parla? Non bene. Cosa posso fare per esprimermi invece di ascoltare passivamente? Come convivo con la sensazione di aver perso del tempo e di aver perso stima in me stesso?
E' possibile evitare il conflitto con l'altro, creando un incontro di questi due bisogni di esprimersi?
Di solito cosa facciamo? Giudichiamo questa persona che sta parlando e cerchiamo persone a noi affini, con cui ci troviamo bene. Ma forse è solo la nostra percezione: siamo sicuri che loro si trovino bene con noi? Esistono davvero queste affinità elettive o ci sembra di trovarci bene con l'altro solo perché ci lascia esprimerci?
Noi tendiamo a giudicare negativamente chi ripete sempre le stesse cose, ma non ci accorgiamo che anche noi ascoltiamo sempre allo stesso modo!!!!
Qual è la funzione fondamentale della comunicazione? Esprimersi. Ma chi ascolta? 
E quando ascoltiamo, cosa ascoltiamo? IL COSA (le parole che l'altro dice) e IL COME (il tono e il comportamento di chi sta parlando).
Ma non ascoltiamo mai il PERCHE'(l'intenzione di chi parla). Perché l'altro sta parlando? 
E' fondamentale cogliere l'intenzione, il sottotesto, ciò che sta "sotto" il testo. Cosa succede quando colgo il perché? Cosa succede quando so che la persona parla perché ha bisogno di esprimersi per sentirsi vivo? Cambia qualcosa nel mio comportamento?
Proviamo a relazionarci con l'altro pensando, sapendo e cogliendo nel suo modo di essere che il nostro interlocutore, come noi, ha bisogno di esprimersi per vivere.


L'ASCOLTO NELLE RELAZIONI INTERPERSONALI


Ma è sempre necessario ascoltare e sorbirsi il parlare noioso degli altri? O ci sono alternative?

Imparare ad ascoltare non vuol dire svolgere un'azione umanitaria, ascoltando chicchessia, rispetto a qualsiasi tema o in qualsiasi momento. Dobbiamo partire dal principio che non siamo costretti ad ascoltare, ma che spesso ci ritroviamo ad ascoltare nostro malgrado. 
Si tende spesso a sentirsi in dovere di ascoltare, e a sentirsi in colpa per non aver ascoltato. In realtà l'unica cosa di cui dobbiamo sentirci in colpa è di non aver trasformato la situazione e il rapporto con l'altro. Il nostro obiettivo deve essere quello di ottimizzare il processo di ascolto ai fini di una migliore relazione interpersonale, REALMENTE VOLUTA, per creare o approfondire "nuove" relazioni interpersonali tutte potenzialmente interessanti, per arricchirci personalmente e per conoscere nuove alternative ai propri punti di vista.
Proviamo a fare un esempio di una situazione piuttosto frequente. Una persona ci parla di un momento significativo della sua giornata, con particolari e dettagli di ogni genere. La ascoltiamo? E' interessante? Spesso in queste situazioni si generano in noi una forma di Ascolto Passivo dove, pur annoiandoci a morte, continuiamo ad ascoltare l'altro senza intervenire.
Siccome con la persona che parla esiste un rapporto, ci ritroviamo ad ascoltarla. Ma se l'oratore è poco interessante, dobbiamo poter intervenire. FONDAMENTALE E' IL LIVELLO DI RELAZIONE INTERPERSONALE. Tanto più siamo interessati all'altro, tanto più dobbiamo mettere intenzione nella "trasformazione" del parlare "noioso". Ciò non significa che dobbiamo parlare noi. Ma dobbiamo sentire il bisogno di intervenire. 
E' importante imparare a non accettare nostri ascolti "negativi" o "annoiati", ma MAI in maniera brusca o frustrante per l'altro, che sta solo manifestando se stesso. 

Quando chi parla ha un atteggiamento negativo, è importante evitare di banalizzare il tema, sminuire o minimizzare il problema, rimproverare l'altro ("te l'avevo detto") o dare dei consigli che l'altro non può seguire e a cui non è interessato in quel momento.
Quando invece l'altro è "noioso", il comportamento più frequente consiste nel dare chiari ed evidenti segnali di noia per farlo smettere, dire di non aver tempo, esprimere chiaramente il fatto di essere stufi di ascoltare sempre le stesse cose, interrompere l'incontro, dedicarsi ad altro senza guardare in faccia chi sta parlando.
Tutte queste reazioni hanno evidenti effetti negativi sulla relazione. L'altro ci resta male, si sente offeso, il suo senso di autostima ne risente, non capisce la nostra reazione, si genera un attrito e un forte rancore.

Ma allora come trovare una maniera creativa e stimolante per trasformare la situazione?
Dobbiamo esercitare un ascolto attivo. Attraverso l'ascolto attivo coglieremo gli elementi necessari per trasformare la situazione. Per non perdere tempo in un ascolto inutile, ecco alcune possibili strategie di trasformazione della situazione, che permettono di creare o trasformare la relazione con l'altro, rendendo la conversazione più interessante per tutti:
- avere sempre qualcosa di interessante da dire (se è vero che l'altro è noioso, è anche vero che forse parla perché noi non abbiamo niente da dire);
- ristrutturare il tema in corso, facendogli prendere un'altra strada, spesso attraverso domande su qualche parola chiave del contenuto;
- fare delle associazioni legate al tema, ma che di fatto spostino l'argomento;
- agganciarsi a parole chiave del tema, chiedendo cosa significa, o se l'altro può aiutarci rispetto a 
qualcosa (le persone sono molto pronte a rispondere ad una richiesta di chiarimento o di aiuto);
- creare una nuova situazione ("andiamo a bere un aperitivo", "Ah, ricordami che dopo ti devo dire una cosa importante, ma dopo, quando hai finito….");
- dare un appuntamento, rinviando la situazione;
- aprire un nuovo tema, con qualche riferimento all'altro ("Ah, prima che mi dimentichi…ho visto una cosa che ti farà impazzire di gioia….");
- lasciare esaurire il discorso, intervenendo solo con piccole frasi ("sì", "no", "certo", ecc..), senza alimentare il discorso, ma esercitando un ascolto attivo, guardando l'altro negli occhi per non dargli la sensazione di essere annoiati da quello che dice.


LA GESTIONE DEI CONFLITTI

Ormai sappiamo che l'uomo si esprime non solo parlando, ma tramite ogni sua azione, ogni suo atteggiamento: sappiamo che "tutto è messaggio".

Noi ci esprimiamo anche attraverso il nostro modo di ascoltare. L'ascolto non deve essere una forma di disponibilità passiva o addirittura di sudditanza nei confronti di chi parla, bensì un elemento fondamentale che concorre a creare o migliorare una relazione. L'ascolto è il fondamento della relazione. 
Ma ogni relazione ha in sé una situazione di conflitto. Quanto meno proprio e ancora per la personale esigenza di manifestarsi per esistere, anche a scapito dell'altro. Ma cosa ne facciamo di questo conflitto?

Si dovrebbe poter considerare il conflitto non come un problema da evitare a tutti i costi (se c'è, è inutile ignorarlo), ma come un'opportunità da utilizzare.
Da cosa nascono i conflitti? Dalla presenza di posizioni diverse. Gestire un conflitto non significa imporre la propria posizione, ma neanche abbracciare quella altrui. Dobbiamo essere convinti che non si tratta di una gara da cui uscire vincenti o perdenti. Invece di cercare di vincere il conflitto (o rassegnarci a perderlo) proviamo a chiederci qual è la nostra motivazione e qual è quella dell'altro. 

Se riusciamo a svelare perché abbiamo una certa posizione e perché il nostro interlocutore ha la propria, allora scopriamo un diverso livello di relazione su cui muoverci.
Ci sono varie tipologie di conflitto. Una di quelle più frequenti si incarna nella figura del "colpevolizzatore". Il colpevolizzatore è colui che ha da ridire su di tutto. Per lui la colpa di ciò che accade è sempre dell'altro. C'è sempre un responsabile, e non è mai lui. Il colpevolizzatore fa di tutto, consciamente e non, per far sentire l'altro colpevole di qualcosa. Nella sua visione della realtà l'altro è incapace di affetto, di attenzione, di presenza. Questo tipo di persona usa spesso parole come "sempre", "mai", "tutto", "niente": parole estreme che esagerano sempre la situazione ("Perché siamo sempre senza soldi?"; "Non hai mai tempo per me!"; "Non c'è più latte!"; "Come mai telefoni sempre a tua madre?").

Di fronte ad affermazioni del genere ci sentiamo attaccati personalmente e cerchiamo di reagire. L'errore più frequente è quello di reagire d'impulso, d'istinto, dando vita alla "DANZA DEL COLPEVOLIZZATORE": NON FACCIAMOLO, MAI!!! 
Conviene prendersi tempo, lasciar passare dieci-quindici secondi, prima di qualsiasi reazione. Se una persona ci sferra un pugno, si aspetta una nostra reazione immediata, anche solo per difenderci, ma se questa non si verifica, allora la tensione dell'aggressore comincerà a scemare. Lo sorprendiamo con la nostra calma, e può darsi che si fermi, mentre noi nel frattempo abbiamo 

conquistato del tempo prezioso durante il quale scegliere una reazione costruttiva e non una difesa istintiva. Non reagire mai simmetricamente, né complementarmente, cioè come ci verrebbe naturale essendo attaccati, ma spostiamo il livello su un piano più alto.
Un'altra forma di conflitto molto diffusa è quella che nasce in presenza di posizioni opposte. Alcuni esempi: uno vuole la finestra aperta, l'altro la vuole chiusa; tutti vogliono andare al ristorante giapponese, ma c'è una persona che vuole andare in pizzeria; tra marito e moglie, lei vuole la casa piena di oggetti, a lui danno fastidio e preferisce poche cose; tra sorelle, una vuole mandare la madre anziana in una casa di riposo, l'altra vuole tenerla in casa.

Situazioni come queste sono molto frequenti. Cosa fare? Ancora una volta è fondamentale l'interesse. Perché una persona vuole una cosa? Se sviluppiamo la capacità di scoprire l'interesse dell'altro, possiamo trovare elementi comuni su cui lavorare. E' importante essere buoni conoscitori dell'altro. Ricordiamoci che avere posizioni opposte non significa necessariamente avere interessi opposti. 
Il conflitto è spesso causato anche dall'incomprensione, ossia da quella situazione che si verifica ogni volta che qualcuno dice o fa qualcosa che l'altro interpreta come un attacco personale. Spesso non è affatto così, ma chi si esprime per primo commette gravi errori di comunicazione senza accorgersene, errori che vengono letti dall'altro come un attacco volontario. Egli cerca di difendersi ma la sua reazione appare a chi aveva commesso il primo errore come un attacco immotivato e in questo modo si sviluppa una dinamica di "botta e risposta" dalla quale è difficilissimo uscire.

Pensiamoci bene: quante volte ci siamo trovati in situazioni del genere?
In presenza di un interlocutore ostile, sospettoso, che sta sulla difensiva, può essere utile affidarsi alla STRATEGIA DELL'AZIONE INDIRETTA: adottare un comportamento opposto a quello che ci verrebbe spontaneo. Anziché contrattaccare, fare come nell'aikido: non offrire resistenza agli attacchi. Accogliere quello che dicono o fanno gli altri come un contributo per la soluzione del problema.

Le tre reazioni più frequenti di fronte ad un attacco sono: la reazione simmetrica (attacco chi mi attacca), complementare (subisco e mi adeguo a chi mi attacca) e la rottura del rapporto.
Ecco alcuni suggerimenti e alcune ipotesi di intervento che possono aiutare a gestire i conflitti e che sono strettamente legate all'ascolto:
- non prendere l'attacco personalmente, ma come una manifestazione dell'altro;
- prendere tempo, non reagire d'impulso;
- chiedere spiegazioni;
- mettersi dalla parte dell'altro. Empatia. Pensare che l'altro ci sta aiutando a lavorare sull'ascolto. Chiedergli di continuare perché abbiamo bisogno di capire più a fondo; 
- prendere coscienza del conflitto e di ciò che sta avvenendo;
- evitare posizioni di debolezza o di eccessiva forza;
- utilizzare la forza dell'altro;
- mettersi nei panni dell'altro, cercare di cogliere che cosa sente, cosa vuole, di cosa ha bisogno;
- parafrasare che cosa l'altro ci ha detto;
- in certe situazioni, prendere appunti e far sentire all'altro che ci stiamo interessando a quello che dice;
- fingere di non aver capito e chiedere di ripetere.

Non dimentichiamoci che un altro strumento molto importante è la "metacomunicazione": parlare del conflitto, della difficoltà ad intendersi, dei problemi di linguaggio che abbiamo nel rapporto con l'altro.
NESSUN CONFLITTO E' COSI' IMPORTANTE DA GIUSTIFICARE UNA GUERRA: TUTTI DOBBIAMO MORIRE: UTILIZZIAMO MEGLIO IL NOSTRO TEMPO.

L'ASCOLTO COME ARRICCHIMENTO


Ascolto come arricchimento della nostra anima, della nostra conoscenza, del nostro rapporto con l'altro. Ma che cosa e chi ascoltare ? 

- Ascoltare me stesso: per farlo è necessaria la solitudine, che spesso invece viene considerata come qualcosa di negativo. La solitudine è importantissima, per ascoltare i propri pensieri, le proprie emozioni, le proprie sensazioni;
- Ascoltare l'altro, come vedremo in seguito;
- Ascoltare lo spazio, il tempo, l'evento nel suo insieme, la realtà. Fermarsi e osservare, come un bambino. Un incidente, un vecchio che cammina, una famiglia felice, il traffico, le voci sulla metropolitana. Non ascoltare una cosa specifica, ma tutte insieme, cogliere l'insieme, l'evento, il tempo che passa, lo spazio tutto.

Dopo aver individuato i diversi livelli di ascolto, proviamo a fare degli esperimenti. Siamo in grado di ascoltarci mentre parliamo con l'altro? E' difficile, perché la relazione ci porta via. 
Proviamo ora ad ascoltare noi stessi, mentre parliamo con l'altro, e ascoltare contemporaneamente tutta la realtà: la difficoltà aumenta. E' più semplice ascoltare noi stessi e la realtà, senza relazione con l'altro. D'altronde Sarte diceva: "L'altro è il mio inferno".

Eppure non possiamo non relazionarci. Ma chi è questo "altro" con cui entriamo in relazione e che dovrebbe arricchirci ? Non tutti i rapporti sono uguali: proviamo ad analizzarli:


I nostri genitori. Sono le nostre radici, sono noi stessi. Osservarli, farli parlare di loro, dei loro genitori, della loro vita, delle loro speranze spesso deluse, ci parla di noi, del perché noi siamo come siamo. L'ascolto dei genitori, che diamo sempre per scontato, è fondamentale. Ma non possiamo pretendere che siano interessanti. Dobbiamo essere noi a creare le condizioni per un ascolto arricchente dei nostri genitori.


Molto utile può essere fare metacomunicazione con i nostri genitori, ossia parlare con loro di come va il nostro rapporto di comunicazione: ci siamo mai posti così nei loro confronti?
Altro importante rapporto è quello con i figli. Anche nei figli possiamo rivedere noi stessi. Spesso nel rapporto che abbiamo con i nostri figli assumiamo le vesti del "colpevolizzatore": ma anche in questo caso dobbiamo sforzarci di creare con i nostri figli le condizioni migliori per un arricchimento.

C'è poi la categoria dei parenti. La cultura della famiglia ha tuttora un ruolo decisivo nella nostra società, anche se non più come in passato. I parenti, con i quali i rapporti sono basati sulla formalità, si incontrano solo in certe occasioni (matrimoni, funerali, festività natalizie, ecc…). 
Perché non proviamo a creare altri scenari? Invitare un parente a pranzo, un giorno qualunque? I parenti sono un mondo da scoprire. Sta a noi decidere di entrare nella vita degli altri, ma non lasciamo agli altri l'opportunità di cambiare la nostra. In questo caso siamo solo come foglie al vento.

Lo stesso discorso è valido per gli amici, categoria molto diffusa, ma con la quale il rapporto è spesso superficiale. Se ci sono amici è perché ci sono aspetti di loro affini ai nostri, che forse noi non vediamo. Osserviamoli, nel loro esserci, nel loro muoversi, nel loro parlare e raccontare. Non limitiamoci ad approfittare della possibilità di dire quello che vogliamo a qualcuno che ci capisce. 
Ci sono poi i nemici, coloro con cui abbiamo conflitti, incompatibilità, Sono i mondi più diversi e importanti. Dobbiamo trovare come entrare nel loro fuoco di sbarramento. Anche con i nemici può tornare utile la metacomunicazione. 

C'è poi un'altra categoria molto diffusa, ed è quella degli indifferenti, di coloro a cui diciamo "Buongiorno" e "Buonasera", di quelle persone che non sono né simpatiche né antipatiche, che incrociamo nei corridoi della nostra azienda o tutte le mattine alla fermata dell'autobus. Tra gli indifferenti ci sono persone molto diverse: i vecchi, i felici, le persone che hanno vissuto esperienze difficili, tutti soggetti con i quali è possibile creare le condizioni per un ascolto arricchente.


Ci sono poi gli assenti, quelli che non vediamo più da tantissimo tempo e che probabilmente non vedremo mai più, se non ci diamo da fare per creare un incontro, per riattivare un rapporto, sciogliere nodi del passato, arricchirsi attraverso l'ascolto dell'altro.

Gli altri sono i mondi possibili. La cosa più triste sono le relazioni che finiscono, di amicizia, di conoscenza sul lavoro, di esperienze comuni. Ci si vede qualche giorno, si vivono magari intense emozioni. Ci si promette incontri e amicizia eterna e poi non ci si sente più. Non si ha tempo. Si ha la propria vita. Appunto, la propria vita. Sempre la stessa. Quella, individuale, di tutti, uguale a quella di tutti, ma che a me sembra unica. La mia. Cioè sempre io, solo io. Nel mio piccolo mondo.


PENSIAMO SOLO A TUTTE LE PERSONE CHE ABBIAMO CONOSCIUTO NELLA NOSTRA VITA E CHE ABBIAMO PERSO DI VISTA. PERSONE CHE CI SONO STATE VICINE PER QUALCHE TEMPO. 

PENSIAMO A QUANTA RICCHEZZA CI AVREBBERO POTUTO DARE. DIPENDE SOLO DA NOI CREARE QUESTE POSSIBILITA'. E INVECE NOI RESTIAMO ABBARBICATI AL NOSTRO COMPAGNO, AI NOSTRI FIGLI, A NOI STESSI E AI NOSTRI PICCOLI PIACERI E ABITUDINI DI AUTOCONSOLAZIONE. SOLO CON UN PATTO DI MUTUA E MUTA TESTIMONIANZA. 
E A VOLTE ADDIRITTURA CI ANNOIAMO, PERCHE' NON ABBIAMO NIENTE DA FARE!!

Conclusioni


Tutto ciò che noi riceviamo dall'esterno (dall'altro e dalla realtà) è energia. Ma l'energia è anche dentro di noi, bloccata da schemi mentali e culturali. L'ascolto è uno strumento straordinario per far 

aumentare la nostra energia, ma siamo noi che dobbiamo creare le condizioni affinché ciò avvenga, affinché l'ascolto sia una fonte di arricchimento, sempre e con chiunque. Ognuno di noi si sente solo e spesso incompreso. Ma questo vale per tutti. Noi crediamo che l'ascolto sia un optional, una specie di caso. Ascoltiamo ciò che accade e che ci può interessare: NIENTE DI PIU' SBAGLIATO.



SIAMO NOI CHE DOBBIAMO CREARE LE CONDIZIONI E GLI EVENTI PER UN ASCOLTO ARRICCHENTE. 

SIAMO NOI CHE ABBIAMO BISOGNO DI IMPARARE, DI CONOSCERE, DI AMPLIARE LA CONOSCENZA DEI MONDI POSSIBILI.

NON ASPETTIAMOCI CHE QUESTO ACCADA NATURALMENTE. NON DOVREMMO PERDERE NEANCHE UN SECONDO IN BANALITA' DI DIALOGHI INUTILI E SUPERFICIALI. QUESTE POSSONO SERVIRE SOLO PER CREARE LE CONDIZIONI DI TRASFORMAZIONE.


DOVREMMO ACCORGERCI SEMPRE QUANDO QUESTO ACCADE NELLE DIVERSE SITUAZIONI. FAR PARLARE L'ALTRO E ASCOLTARE NOI STESSI CHE ASCOLTIAMO L'ALTRO.
NON DIMENTICHIAMOCI CHE NOI, TUTTI NOI, SOFFRIAMO DI SOLITUDINE E DI MANCANZA.

MA SE E' VERO CHE NON ESISTE LA FELICITA', E' ALTRETTANTO VERO CHE UNA PIANTA SOFFRE IL CALDO DI PIU' NEL DESERTO CHE IN UNA FORESTA.

 


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