mercoledì 5 agosto 2015

Tunnel neolitico collegherebbe Scozia a Turchia


di Enrica Perucchietti.
Rivenuta rete di gallerie sotterranee che secondo l’archeologo tedesco Heinrich Kush collegherebbe la Scozia alla Turchia

La scoperta potrebbe rivoluzionare il campo dell’archeologia e portare a una revisione della storiografia antica, così come potrebbe scontrarsi contro la cittadella accademica o sgonfiarsi alla prova dei fatti.

Non abbiamo infatti ancora dati sufficienti per inquadrare la notizia diffusa dall’archeologo tedesco Heinrich Kusch che ha dato alle stampe il suo libro Secrets Of The Underground Door To An Ancient World.

Dopo la scoperta nel 1994 di Gobleki Tepe risalente a 12 mila anni fa e destinata a riscrivere la storia del Neolitico, ora emerge un’altra costruzione megalitica, altrettanto misteriosa: una rete di un migliaio di tunnel sotterranei che avrebbe collegato la Scozia alla Turchia – dove, guarda caso, si trovano proprio gli scavi di Gobleki Tepe, al confine dell’Iraq…
Dopo la scoperta in varie parti d’Europa, tra cui Austria e Germania, di tratti di tunnel, scavati nella roccia, presumibilmente risalenti al Neolitico, Kusch avrebbe dedotto che intorno al 10000 a. C. una popolazione sconosciuta avrebbe costruito i tunnel, o perlomeno avrebbe dato vita al progetto di un mega tunnel sotterraneo che avrebbe unito l’Europa alla Turchia.


Il Dr. Kush ha infatti dichiarato al German Herald che in Baviera sarebbero stati rivenuti ben 700 metri di questa rete sotterranea, mentre in Austria 350 metri, ma in tutto si tratterebbe di un migliaio di tratti di galleria.

Se non possiamo ancora accertare l’esistenza di un unico tunnel sotterraneo scavato nella roccia e al di sotto del livello del mare, è innegabile l’esistenza di diversi tratti di gallerie risalenti, secondo gli studiosi, al Neolitico.

Ora, viene da domandarsi il perché di queste immani costruzioni, gli strumenti utilizzati per scavare gallerie sotterranee e il tempo impiegato.

In merito al primo interrogativo gli studiosi sembrano orientati a spiegare l’architettura neolitica come una forma di rifugio della popolazione dai “predatori” in superficie: uno stratagemma simile non trova però riscontro in studi o scoperte precedenti.

In secondo luogo, quanto tempo potevano passare rifugiati sottoterra i nostri avi senza canaline o condutture d’aria?

I passaggi sotterranei misurano all’incirca 70 cm, ma in alcuni punti si allargherebbero lasciando spazio a delle vere e proprie “camere” dall’utilizzo sconosciuto, che farebbero però pensare alla Camera del Re e alla Camera della Regina della Piramide di Cheope. Un inutile esercizio di sincretismo archeologico? Forse, ma anche nel caso della Grande piramide ci troviamo di fronte a dei veri e propri enigmi, come la mancanza di cartigli o iscrizioni, la presenza dello Zed, e la difficoltà di accesso alla Camera della Regina. La rete sotterranea poteva avere anche una funzione “iniziatica” come probabilmente aveva la Grande Piramide, o serviva soltanto come passaggio da un luogo all’altro del pianeta? E in questo caso, che importanza dovremmo dare alle leggende che narrano di costruzioni sotterranee e di popoli che abitavano nelle viscere della Terra? Gli uomini del Neolitico potrebbero aver “imitato” delle creature che vedevano entrare e uscire della grotte o da nascoste entrate al mondo infero?

In attesa di una conferma da parte dei geologi, la data di costruzione della rete sotterranea sembra coincidere con quella del sito di Gobleki Tepe. Ciò farebbe almeno supporre che possa essere esistita una popolazione anti diluviana più evoluta del classico “uomo del Neolitico”, come abbiamo imparato a conoscerlo dalle conclusioni dell’archeologia accademica. Senza con questo dover necessariamente rispolverare il mito di Atlantide, Lemuria o Mu, non è così inverosimile teorizzare che siano esistite popolazioni scomparse con il Diluvio (riportato dai miti e dalle religioni classiche e accertato dalla geologia) autrici di quelle vere e proprie “anomalie” del sistema storiografico che stentano a farsi ricomprendere sotto la categoria di civiltà “primitive”.

Non è certo perché avevano a disposizione “molto tempo libero”, come alcuni archeologi hanno ipotizzato, che culture classificate come “primitive” avrebbero potuto dare vita a una rete sotterranea di tunnel o ai megaliti di Gobleki Tepe, dotati soltanto di selci e molta pazienza. Il tentativo di banalizzare le scoperte contemporanee perché la loro portata storico-simbolica sfugge ancora ai nostri cervelli positivisti, è ridicolo. Ed è un insulto a quelle popolazione che hanno impiegato decine o centinaia di anni per dare vita a complesse costruzione, il cui fine ancora ci sfugge per nostra limitatezza, non a causa loro…

Se negli ultimi trent’anni stanno emergendo dei reperti – e in questo senso vanno ricomprese anche le ossa di scheletri di Giganti rivenute in tutto il mondo – che sfidano il sapere comune e che non sono per questo “catalogabili” negli schemi che ci siamo fissati finora, forse, sono quelli stessi schemi – per quanto difficile e doloroso possa essere – che dovrebbero essere riveduti. Dal punto di vista storico, antropologico, filologico questi reperti non possono essere stipati a forza in categorie che non li possono contenere. Questa è una violenza che uno storico per quanto convinto delle proprie “credenze” e di quanto appreso fino ad ora, dovrebbe rendersi umilmente conto.

In secondo luogo ci si dovrebbe chiedere quali strumenti siano stati utilizzati ben dodicimila anni fa per scavare questa rete sotterranea e se, come sostiene l’archeologo tedesco, in seguito sorsero in prossimità delle entrate alle gallerie luoghi di culto e Chiese.

L’esistenza di queste gallerie era forse conosciuta anche in un recente passato? E se così fosse, perché questo segreto è rimasto letteralmente “sepolto” fino ad oggi?

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