domenica 15 luglio 2012

Sufi - La Danza del Cosmo

Il cerchio rimane il più antico simbolo sacro, simbolo di unità, di perfezione e ci rammenta il nostro contatto col Divino, col trascendentale, con la forza creatrice dalla vita. Dietro al cerchio sta l’idea che tutti i fenomeni del mondo siano compresi in un’unica sfera....


Tutto è rotondo, la terra, le galassie, le stelle, i pianeti e tutto si muove in

senso circolare, mondi pianeti, satelliti e sistemi planetari. Il cerchio è la figura dei cicli celesti e del ciclo annuale raffigurato nello Zodiaco. E’ caratteristico della tendenza espansiva ed è il segno del’armonia; per questo le norme architettoniche sono spesso stabilite sulla divisione del cerchio. Il movimento circolare è perfetto, immutabile, senza inizio né fine, né variazione; questo fa si che esso possa rappresentare il tempo, il quale, a sua volta, può essere definito come una successione continua e invariabile di istanti tutti identici gli uni agli altri.

Per i popoli nomadi il Santuario della divinità era concepito circolare, come la loro tenda od il nurago o il trullo. Per delimitare il santuario essi fissavano un bastone nel terreno e concepivano il bastone come asse del mondo ed ogni punto della superficie terrestre era concepito corrispondente a tale asse. Con un filo legato al bastone ruotando formavano il cerchio, trasfigurazione del cielo e del cosmo. Per i popoli sedentari, invece il santuario, concepito come tempio, era quadrato ed esprimeva la legge definitiva ed immutabile.

Troviamo il cerchio anche nella ritualità dei nativi americani; essi tenevano consigli e riunioni in cerchio intorno al fuoco, gli sciamani guarivano attraverso le ‘ruote di medicina’, un cerchio di pietre i cui raggi, 4 linee pure fatte di pietre, si incrociano al centro formando un cerchio più piccolo. Anche la capanna sudatoria era una struttura circolare a cupola con al centro un focolare rotondo sul quale vengono poste delle pietre precedentemente arroventate per il rito della purificazione. Spirali e cerchi concentrici si trovano numerosi su molte pietre sacrificali e pietre tombali dell’arte neolitica specialmente in Inghilterra e in Irlanda. Alcuni suppongono che si tratti di simbolismo astronomico, altri le interpretano come simboli di un antichissimo culto alla Madre terra.

Il cerchio ha un suo parallelo nel buddismo: il mandala, un motivo circolare che racchiude altri cerchi concentrici o una pianta quadrata di un tempio dedicato alla divinità; Il neo-platonismo paragona Dio ad un cerchio, il cui centro è dappertutto e questo tema lo si trova anche nel Sufismo. La danza circolare dei dervisci è ispirata a questo simbolismo cosmico: imtani il giro dei pianeti attorno al sole, il vortice di tutto ciò che si muove, ma anche la ricerca di Dio, rappresentato dal sole. Le rotazioni realizzate dai dervisci sul terreno (o sul palco) individuano i movimenti dei pianeti intorno al sole, impersonato dal Semazen, il leader. Punto di contatto tra l'amore divino e la terra
Il SufismoIl termine deriva dall'arabo suf "lana"; originariamente si dava questo nome agli asceti che portavano un vestito di lana ordinaria, in segno di rinuncia alle vanità del mondo.
L'idea fondamentale del sufismo ha per origine non soltanto alcuni passaggi del Corano, ma anche le numerose tesi più gnostiche, panteistiche, ecc. che circolavano nel mondo bizantino, e anche il buddismo. La dottrina sufista è una dottrina dell'unità: la totalità delle cose create, compreso l'uomo, non è che un'immensa manifestazione della divinità. Questo panteismo condiziona il destino umano. Lo scopo del saggio sufista è quello di raggiungere una completa immersione dell'io individuale nella sostanza universale.

Questa immersione (fana) si compie passando per tre tappe: l'osservanza della legge, alla quale il sufista obbedisce non per timore, ma per amore di Allah; l'ascetismo, la preghiera e la meditazione (è ciò che il sufismo chiama la Via); infine il raggiungimento della certezza assoluta, paragonabile alla beatitudine del buddista che raggiunge il nirvana.

Il sufismo ha alimentato - ed alimenta ancora - la filosofia e la poesia dell'islamismo: il filosofo Al-Ghazali (morto nel 1111) ha tentato di effettuare una sintesi dell'islamismo ortodosso e del sufismo; le poesie di Omar Khayyam celebrano l'estasi attraverso la quale il sufista raggiunge la beatitudine divina.




Jalaluddin Rumi chiamato poi Mevlana (nostro Maestro 1207-1273), saggio nato in Persia, poi stabilitosi a Konya è universalmente noto per aver fondato, verso i quarant'anni d'età, il corpo dei Dervisci Rotanti: vale a dire quei mistici, vestiti di un'ampia tunica bianca, lunga fino ai piedi, che piroettano vorticosamente su se stessi, spesso in stato di trance, per raggiungere l'estasi. Aiutati, in questo, da una musica ipnotica, impalpabile, costantemente uguale a se stessa: che somiglia da vicino a una preghiera. Perché anche questa (non mancava mai di ricordare Rumi, straordinario uomo d'azione e d'inazione, rigoroso fino al parossismo e burlone fino ai limiti della clownerie) "possiede una forma, un suono e una realtà fisica". Tutto ciò che si può esprimere con una parola possiede un equivalente fisico, e tutti i pensieri hanno un'azione".Tra i precetti che di lui si ricordano, ce n'è uno fondamentale per la diffusione dell'insegnamento dei Dervisci, il cui addestramento duro e faticoso: "Molte strade portano a Dio. Io ho scelto quella della danza e della musica."

Dervisci sono gli appartenenti alla confraternita musulmana dei sufi, che si propongono l'unione mistica con Dio mediante l'ascesi e la danza. Il sufismo invece quella filosofia e disciplina spirituale della cultura islamica, che ritiene possibile il contatto diretto con Dio attraverso l'estasi e la meditazione. Ecco perchè la rappresentazione acquista un rilievo e una suggestione tutti particolari, laddove i confini tra il rituale mistico e l'invenzione di spettacolo agli occhi dei profani si fanno sottilissimi.

Rare sono le esibizioni in Occidente dei Dervisci di Konya, solitamente invitati attraverso canali ufficiali, sotto gli auspici delle istituzioni culturali del loro Paese. La città santa di Konya, in Turchia, è teatro di un rito che affonda le sue radici nel mistero: il sama estatico dei dervisci mevlevi. Accanto al mausoleo che ospita il sepolcro di Rumi, i dervisci si esibiscono, davanti a un pubblico attonito, nella loro danza folle e vertiginosa.

Una cerimonia religiosa e insieme uno spettacolo di musica-danza:una tradizione con oltre settecento anni alle spalle, che appare sorprendentemente moderna, nell'austera scansione di sonorità e movenze, che fanno dei Dervisci Rotanti un'entità unica, irripetibile, ogni volta sconvolgente. Mentre il flauto e i tamburi cominciano a suonare, essi depongono la sopravveste nera, simbolo del basso, oscuro mondo in cui l'anima è prigioniera e, candidi come aironi migranti verso una patria lontana, cominciano a ruotare senza posa sul perno di un piede. La mano destra, aperta verso il cielo, è la coppa del cuore che accoglie la grazia divina. La sinistra, aperta verso terra, è la sorgente di vita che comunica il divino influsso al mondo corruttibile di noi poveri mortali.

Importante segnalare i significati simbolici a cui sono legati i vestiti e la gestualità dei danzatori dervisci: L'alto copricapo a cilindro, nero o marrone, è la pietra tombale che l'Iniziato pone sulle sue passioni terrene. Il cerchio dell'ampia gonna che, roteando, si schiude come una corolla, è la sfera del cosmo che si avvolge all'infinito intorno al centro dell'universo. Lo scopo della danza (dhikr) è generare uno stato di estasi rituale e accelerare il contatto tra la mente del Sufi e la Mente Cosmica di cui egli si considera parte. Tutto l'incedere della musica, l'espressività dei corpi, la postura delle braccia, i volti e gli sguardi assorbiti dal trasporto mistico, suggeriscono una solennità speciale, che incute soggezione e impone rispetto assoluto per la devozione sottesa.

La musica viene suonata
 
      
soprattutto da flauti verticali nay (Dal IX d.C. il ney è un tra i rari strumenti musicali impiegati nell’incontro cerimoniale sufi detto samâ‘, “ascolto, audizione”, nel corso del quale si ascoltano musica e poesia nell’intento di pervenire a particolari stati interiori, definibili come estasi o, più correttamente, enstasi. Dal XIII secolo il ney assume un particolare ruolo, musicale e simbolico, in seno alla confraternita Sufi) e da piccole percussioni.

L'aspetto musicale ed estatico del sufismo si chiama Samà. Il Sufi durante il suo rapimento spirituale, rivolge l'attenzione del suo cuore al Beneamato attraverso movimenti particolari, spesso con una musica speciale e ritmica ripetendo lo zekr. In questo stato di ebbrezza spirituale, il sufi è paragonabile all'innamorato per eccellenza che non ha niente altro nella sua mente fuorché Dio. Con tutte le sue facoltà è attento al Beneamato ed è totalmente distratto per tutto il resto e dimentico di sé. Non tutti i discepoli sono autorizzati ad impegnarsi nel Samà. Soltanto la guida spirituale decide dell'opportunità di tale pratica.Può perciò prescrivere il Samà come un vero e proprio rimedio o talvolta proibirlo.

Una caratteristica rivoluzionaria del gruppo Mevlevi fu che le donne
potevano farne parte e stare non velate in assemblea con i ricercatori
uomini
: anche le donne erano danzatrici vorticose al ritmo lento e circolare della musica, gettando rose allo sceicco fino all'oscurantismo del XVII secolo, che le vide mutilate di questo e in seguito altri diritti. Ed è in nome della libertà, della tolleranza e dell'amore che ancora oggi donne e uomini, ricercatori di ogni dove, possono incontrarsi come allora per danzare insieme e insieme al cosmo questa innocente danza, risultato della gioia e della celebrazione.
 http://www.geometriadellinfinito.it/La_geometria_dellinfinito/Articoli/Voci/2010/7/21_La_Danza_Sufi.html

Nessun commento:

Posta un commento