sabato 22 settembre 2012

La nostra visita nella Repubblica Democratica Popolare di Corea    


 

PYONGYANG – La Repubblica Democratica Popolare di Corea è uno degli Stati di cui forse meno si sa e meno ci si interessa. E quando capita di parlarne lo si fa solo per parlare impropriamente di povertà e di pericolosi armamenti nucleari o in ogni caso per dare giudizi tanto poveri di contenuti e di informazioni reali, quanti ricchi di pregiudizi e di ignoranza. Al contempo però esiste un numero, molto minore di persone, che giudica questo Stato un piccolo paradiso, un’“isola” di pace e prosperità immersa nell’oceano della barbarie capitalista. Tra questi due atteggiamenti, ancora meno sono coloro che decidono di trovare conferma con i propri occhi di quale effettivamente sia la realtà sociale, politica ed economica nella Repubblica Democratica Popolare di Corea, quali siano i suoi aspetti positivi, quali quelli negativi, ciò che ha prodotto questi risultati e di quale sia il suo passato e le sue future prospettive di sviluppo. Chi ha potuto vedere e soprattutto “sentire”, pur nei limiti di una visita durata dieci soli giorni, quali siano gli effetti reali di parole quali ‘Juché’ e ‘Songun’, potrà dirvi che la Repubblica Democratica Popolare di Corea non si può affatto ridurre a strette e limitanti visioni manichee.
Una visita di questo genere non può che essere utile a fare chiarezza di cosa sia Repubblica Democratica Popolare di Corea, di cosa rappresenti e di quale sia la sua realtà senza cadere in stereotipi privi di fondamento.




IL SISTEMA ECONOMICO E POLITICO DELLA COREA POPOLARE


Il sistema socialista della Repubblica Popolare Democratica di Corea e la sua strutturazione estremamente originale che trova espressione nella filosofia del Juché sono riusciti dove laddove spesso in passato il socialismo aveva fallito, ossia nel forgiare l’“essere socialista”. Questo perché spesso i pensatori marxisti occidentali hanno dato poca importanza all’essere umano inteso come “essere creativo”, capace di plasmare la natura, la realtà e la storia a seconda della sua volontà, ma si limitavano a vedere in esso un semplice “fattore produttivo”, imprigionato entro gli schemi del rapporto di produzione ponendo questi schemi come imprescindibili nello sviluppo umano. Ecco che invece il Juché punta a tirar fuoti il meglio di ognuno, mettendo le qualità di ciascuno al servizio di tutti, ponendo quindi la volontà e l’estro umano come fulcro della società,capaci di plasmare la natura e la società a seconda delle proprie necessità. Il risultato di questa filosofia, ampiamente recepita e condivisa dal popolo coreano, è una società in cui i ‘mali sociali’ che tanto affliggono i Paesi capitalisti sono ridotti al minimo.

Criminalità, individualismo, egoismo, pregiudizio razziale, edonismo, droga, prostituzione, gioco d’azzardo, bullismo e altri termini tristemente noti in Italia e in Europa, sono limitati a casi estremamente rari, se non proprio inesistenti. Problemi che sempre più si avvertono negli ultimi anni quali disoccupazione e precarietà, e tutto ciò che ne deriva, ossia la difficoltà nel costruirsi una vita stabile e sicura, quindi anche una famiglia e di conseguenza il futuro stesso del proprio paese, semplicemente sono sconosciuti nella Repubblica Democratica Popolare di Corea. In una società di questo tipo, viene da sé, che gli elementi che la compongano siano generalmente (l’avverbio è d’obbligo) – come chi visita questa nazione ha modo di sperimentare – persone semplici, sincere, affabili, accoglienti, capaci di provare sentimenti veri, dove l’ipocrisia è ridotta al minimo ed il culto dell’apparenza o lo sfoggio dei cosidetti status-symbol è quasi assente. Quindi niente di più diverso da quanti molti credono.

Visto che sino a questo punto si è usata l’espressione “Repubblica Popolare Democratica di Corea” e non “Corea del Nord” una precisazione è d’obbligo. Chi ha modo di visionare una cartina geografica nord-coreana non vi vedrà rappresentata solo la porzione settentrionale della penisola di Koryo, e neppure vedrà le due coree rappresentate in colori diversi ma vedrà la Penisola rappresentata come un unico Stato, come se la divisione non esistesse e con un’unica definizione “Repubblica Democratica Popolare di Corea” valida per l’intera Penisola. E’ altamente significativo il fatto che nella Repubblica di Corea (Corea del Sud) sia invece rappresentata con tale denominazione soltanto la parte meridionale della penisola di Koryo, mentre la parte settentrionale è rappresentata in un colore diverso. Quale è il significato di queste differenze? Lo si può capire analizzando gli avvenimenti che hanno portato a questa divisione e come tale situazione sia vissuta dai cittadini del Nord e del Sud. Nella Repubblica Democratica Popolare di Corea, i Coreani che vivono nella parte meridionale della Penisola sono visti come fratelli, appartenenti alla stessa nazione ma oppressi da un regime-fantoccio imposto con la forza oltre sessanta anni fa dall’imperialismo atlantico.

 Un coreano del nord non vi dirà mai che esistono due Coree, ma una sola ed unica Corea, metà della quale è sovrana (Nord) e metà ostaggio di una potenza imperialista (Sud). Ecco spiegato l’enigma delle diverse cartine geografiche. Sotto questo aspetto è utile rimarcare che, soprattutto negli ultimi venti anni, gli sforzi congiunti da parte delle classi politiche delle due Coree è stato notevole e ha conosciuto alti e bassi, culminando alcuni anni fa con la costruzione del Monumento per la Riunificazione, eretto all’ingresso della città di Pyongyang, provenendo da Kaesong. Purtroppo quando la strada per la riunificazione sembrava avere imboccato finalmente il giusto percorso, l’elezione in Corea del Sud del leader conservatore Lee Myung Bak, ha bloccato tale processo ed innalzato il livello di tensione tra le due parti della Penisola Coreana, culminato nelle esercitazioni militari congiunte Stati Uniti – Corea del Sud, a ridosso del confine tra le due Coree, gettando di fatto al vento anni di difficili trattative. La riunificazione coreana è sempre stata uno degli obiettivi più fortementi perseguiti dal Partito del Lavoro di Corea, con una strategia decisamente originale. La soluzione elaborata dal Presidente Kim Il Sung e sostenuta dal suo successore, il generale Kim Jong Il, infatti mirava alla creazione di una confederazione coreana, mantenendo nel contempo il sistema socialista al Nord e quello capitalista al Sud. Un progetto molto ambizioso ma per il momento naufragato, poiché cozza con gli interessi atlantici, gli unici che contano per il governo di Seoul.


RAPPORTO DELLA VISITA POLITICA NELLA RPDC

 
Dopo un breve volo da Pechino, effettuato su un nuovissimo Tupolev-204, si atterra nel piccolo aeroporto di Pyongyang, che oggi dispone di un nuovo terminal recentemente costruito.
Prima di attraversare i controlli (nulla di diverso dai normali controlli aeroportuali), si procede alla consegna dei telefoni cellulari. E’ da notare che il divieto di introdurre dispositivi di comunicazione a distanza è una misura precauzionale che riguarda soltanto gli stranieri; i Coreani, contrariamente a quanto molti credono, possiedono senza problemi i telefoni cellulari. Durante il breve tragitto dall’aeroporto all’albergo si può ben vedere come l’economia coreana si stia riprendendo dopo i durissimi anni dell’ Ardua Marcia. Fino a pochi anni fa Pyongyang appariva ben meno vitale di quanto non appaia oggi. Ovunque ci sono cantieri edili dove si stanno ultimando numerosi edifici, mentre degli altri sono in costruzione. Le strade, fino a pochi anni fa semideserte a causa della mancanza di carburante e alla difficoltà di importarne a causa dell’embargo, oggi pullulano di traffico di ogni genere, grazie ai nuovi accordi conclusi con la Repubblica Popolare Cinese che fornisce alla RDP di Corea carburante e petrolio a prezzi vantaggiosi.

L’impatto che si ha con Pyongyang è difficilmente descrivibile in una sola parola. L’intera città è immersa nel verde di basse colline, tra cui spiccano alti grattacieli ben distanziati gli uni dagli altri, mentre le strade che la attraversano sono molto larghe. L’impressione generale è quella di una città estremamente ariosa e grandiosa, molto vivibile, pulita ed ordinata. Senza essere eccessivi, si può ben dire che Pyongyang rappresenti un capolavoro di urbanistica, poiché la costruzione di edifici molto sviluppati in altezza consente un ottimale sfruttamento del territorio e permette di disporre le varie strutture a grande distanza separate da vaste aree verdi, ottenendo al contempo un elevato numero di alloggi popolari a basso costo. Una politica costruttiva razionale, efficiente e di grande effetto scenico, che si può solo prendere come esempio. Naturalmente non si possono non notare anche qui i segni lasciati dal durissimo ventennio appena trascorso, sebbene in rapido risanamento.

 Molti degli edifici, specie i più vecchi, infatti, danno l’impressione di non essere stati manutenuti nel tempo, con facciate ed infissi molto logori, quasi delle ferite non ancora del tutto cicatrizzate che persino gli oggetti materiali, oltre che le persone, portano sul proprio corpo e nel proprio animo ma che ora, come detto, sono sempre più parte di un duro periodo storico che il popolo coreano sta definitivamente archiviando. Un’altra caratteristica particolare che è possibile notare è il ruolo centrale assegnato alle Forze Armate. Dopo il crollo dei sistemi socialisti in URSS e nell’Europa orientale e la conseguente crisi politica del Socialismo Reale, ha preso il via l’era dell’unipolarismo statunitense che ha ben presto preso di mira questo Stato asiatico che non si è piegato alle mire egemoniche della superpotenza nord-americana. La necessità di incrementare le capacità difensive autogene ha prodotto una situazione di vera emergenza, aggravata da ripetute stagioni di maltempo e alluvioni.

 La difficilissima situazione è stata affrontata dal Partito del Lavoro di Corea con l’introduzione della politica del Songun, ossia “L’Esercito al centro”. I risultati di questa politica sono ancora visibili percorrendo le strade urbane. I soldati sono praticamente ovunque tuttavia non si limitano affatto a compiti strettamente connessi alla difesa, ma contribuiscono in prima persona alle necessità logistiche ed infrastrutturali della nazione. Alcuni di loro si dedicano alla costruzione o alla manutenzione di nuovi edifici, ponti, strade, tubature e altre infrastrutture, altri si occupano invece delle attività agricole e dell’allevamento di animali.

L’Esercito opera fianco a fianco con i comuni lavoratori praticamente senza distinzioni di rilievo formando un tutt’uno inscindibile che il governo centrale promuove e incentiva. È da notare che praticamente nessuno dei militari dislocati nelle strade della città ha un’arma d’ordinanza, esclusi quelli che svolgono compiti di sorveglianza al di fuori di edifici pubblici. Per quanto riguarda la polizia, essa si limita quasi esclusivamente a compiti di controllo della viabilità ed in questo caso nessuno dei suoi appartenenti porta la pistola. Detto questo, cade un altro mito tanto caro alla propaganda liberale occidentale che vorrebbe i Coreani del Nord come un popolo “terrorizzato” da un esercito onnipresente, e quindi incapace di ribellarsi. In realtà, come visto, i militari non costituiscono affatto una “casta” di privilegiati od una classe di mercenari pagati allo scopo di reprimere un popolo sull’orlo di una fantomatica ribellione.

 Anzi, come i civili, anche i militari condividono alloggi, posti di lavoro, difficoltà e fatiche tanto quanto meriti e soddisfazioni. Se dal 1946 ad oggi la RDP di Corea non è mai stata teatro di proteste di massa né quindi di conseguenti repressioni, sicuramente ci sono ragioni più che valide. Significativo è invece come nella liberale Corea del Sud, vi siano state ben due storiche sollevazioni di massa (quella di Jeju del 1946-48 e quella di Gwangju nel 1980) costate la vita ad oltre 30.000 coreani nel primo caso e circa 200 nel secondo, oltre a numerose altre proteste spontanee nel corso degli anni.

La prima meta della nostra visita prevede l’arrivo nel luogo che si può forse considerare come il punto di partenza per la nascita della Corea socialista: la casa natale del Presidente Kim Il Sung presso il villaggio di Mangyongdae. Da qui possiamo apprendere l’estrazione sociale di Colui che avrebbe guidato il popolo coreano ed il contesto in cui il giovane rivoluzionario si è formato. La casa è una tipica abitazione tradizionale contadina: una struttura a ferro di cavallo ad un solo piano, con un tetto di paglia. Al suo interno venivano ricavate sia le varie stanze che i ricoveri per i prodotti agricoli e gli utensili da lavoro. All’interno della casa si possono notare i ritratti dei componenti della famiglia. 

Tutti i membri erano umili contadini, ma allo stesso tempo ferventi patrioti impegnati nella resistenza contro l’Impero Giapponese che allora occupava la Penisola di Corea. In questa occasione non è mancata la tradizionale bevuta nientemeno che allo stesso pozzo da cui la stessa famiglia di Kim Il Sung si approvvigionava. La tappa successiva è stata la visita del grande Arco di Trionfo (60 metri di altezza per 50 di larghezza), stanziata ai piedi della collina Moran, costruita nel 1982 con lo scopo di celebrare la vittoriosa guerra di liberazione contro l’imperialismo giapponese. L’arco, infatti, porta le date 1925- 1945, ossia rispettivamente l’anno di inizio e della conclusione della guerra. 

Nei pressi dell’Arco è possibile scorgere anche un enorme pannello decorato a mosaico che raffigura il Presidente Kim Il Sung durante il suo discorso al termine della guerra, in cui annuncia la fine dell’occupazione giapponese e la ritrovata indipendenza per il popolo coreano. Altri due importanti monumenti visitati nello stesso giorno sono stati la Torre del Juché, alta 150 metri e sormontata da una struttura a forma di torcia, dalla quale è possibile godere di una vista molto suggestiva sull’intera città. Ai piedi della torre vi è anche un altro monumento raffigurante una contadina che leva al cielo una falce, un operaio che l’affianca con un martello ed un intellettuale che impugna un pennino. L’unione simbolica di falce, martello e pennino, unitamente alla fiaccola, rappresenta l’unione di tutte le categorie lavorative del popolo coreano nella comune filosofia politica del Juché. La torre e il monumento sono stati anch’essi costruiti nel 1982 in occasione del settantesimo compleanno del Presidente Kim Il Sung. Dalla torre si notano le due distinte parti della città costruite sulle sponde del fiume Taedong e si possono altresì notare le differenze tra la parte vecchia della città, costruita a partire dal termine della Guerra di Corea, e quella più nuova, la cui costruzione è iniziata a partire dagli anni Settanta. Mentre nella parte più vecchia gli edifici appaiono di struttura più spartana e più vicini gli uni agli altri, la parte nuova rappresenta una vera e propria opera d’arte dell’architettura moderna.

Un altro aspetto ben visibile in un’analisi della struttura urbana è la totale assenza di edifici antichi. Interrogata a tale proposito, l’addetta alla visita della torre ha spiegato che semplicemente tali edifici non esistono più, non solo a Pyongyang,ma in tutte le principali città della RDP di Corea a causa dei violentissimi bombardamenti operati dagli Stati Uniti e dalle forze alleate durante la Guerra di Corea. In particolare a Pyongyang è stato stimato che fu sganciata una media di una bomba per ogni abitante.

Un altro monumento di grande importanza visitato durante la stessa giornata è il Monumento per la Fondazione del Partito costruito nel 1995 e raffigurante tre enormi pugni di granito che alzano al cielo i tre elementi simbolo del Partito del Lavoro di Corea (la falce, il martello ed il pennino), mentre la base è decorata al suo interno con alcune sculture incentrate sulla storia della Corea rivoluzionaria, dalla resistenza all’imperialismo giapponese alla guerra contro l’imperialismo atlantico, dalla costruzione del socialismo all’insegnamento dei valori rivoluzionari alle giovani generazioni. Nel corso della giornata ci è stato possibile osservare anche alcune esposizioni artistiche coreane, dove ammirare veri e propri capolavori dell’arte contemporanea coreana, che spaziano dalla raffigurazione di panorami estremamente suggestivi a rappresentazioni della vita quotidiana, dell’impegno nel lavoro, così come della gioia di un momento di spensieratezza.

Nella giornata seguente la delegazione ha avuto modo di visitare uno dei fiori all’occhiello dell’agricoltura coreana, ossia la fattoria collettiva Taedonggwang, che può a tutti gli effetti essere considerata un’eccellenza della moderna economia socialista. La produzione di frutta è costituita per il 95% da mele di varie qualità, mentre il restante 5% è costituito da altri di frutti quali pesche, pere e altro ancora. Dall’alto di una collina si può ammirare l’enorme estensione delle coltivazioni a perdita d’occhio, molto ben ordinate, e le attività complementari della fattoria: un allevamento di anatre e un allevamento di suini, da cui si ricava anche il fertilizzante naturale utilizzato poi nelle coltivazioni.

Durante l’attraversamento dell’enorme fattoria abbiamo anche avuto moto di vedere le abitazioni costruite per gli agricoltori, che ricalcano la tradizionale struttura delle case di campagna coreane. Si tratta di abitazioni ad un solo piano costruite con il tipico tetto in tegole verdi dagli angoli rialzati e dalle pareti bianche, circondate da un piccolo appezzamento di terreno generalmente coltivato ad orto per uso privato. È da rimarcare infatti che tutte le terre della Repubblica Popolare Democratica di Corea sono di proprietà statale e non esiste quindi alcuna forma di latifondismo, mentre gli unici terreni adibiti ad uso privato sono quelli che circondano le case e di limitata estensione. 

Questa fattoria collettiva, oltre alle case per gli addetti ai lavori, è anche corredata da una clinica interna, un asilo, e altre strutture ricreative quali un cinematografo, un campo sportivo e così via costituendo di fatto una struttura completamente autosufficiente. Durante il tragitto verso la fattoria, è stato possibile ammirare anche il nuovo parco archeologico, in via di completamento, dove sono stati ricostruiti alcuni importanti edifici dell’antica Pyongyang, così come si presentavano prima della guerra di Corea e dei conseguenti pesanti bombardamenti.

Successivamente, nel corso della giornata, sono state visitate due stazioni della metropolitana di Pyongyang. Simile per certi versi alla celeberrima metropolitana di Mosca, anche quella coreana è stanziata ad una distanza molto profonda sotto il terreno di superficie in modo da poter essere sfruttata, in caso di guerra, come rifugio resistente allo scoppio di ordigni nucleari. Le stazioni di questa infrastruttura sono finemente decorate con colonne scolpite ed enormi mosaici alle pareti, raffiguranti scene di vita quotidiana nel tipico stile del realismo socialista e ispirati alla filosofia Juché, cosi che ogni stazione appaia come una piccola opera d’arte. Per quanto riguarda l’efficienza, tutte le strutture appaiono ben mantenute e ben servite dal personale. Dal momento che si parla di trasporto pubblico vale la pena di spendere alcune parole riguardo a questo tema.

Nella Repubblica Popolare Democratica di Corea il trasporto privato, a causa della difficoltà – ora in via di soluzione – di reperire carburante, in seguito al duro ventennio appena trascorso, è scarsamente utilizzato e tutti gli autoveicoli ed i motoveicoli sono di proprietà statale ed assegnati di volta in volta ai cittadini che, per necessità pratiche o lavorative, ne abbisognano. Viene da sé che il trasporto pubblico è quindi fondamentale. Non è completamente gratuito, ma la cifra che un cittadino coreano deve sborsare per usufruirne può essere paragonata alla spesa di un centesimo di euro per un cittadino europeo. Molti degli autobus e dei filobus oggi in uso, in genere di fabbricazione cecoslovacca o tedesco-orientale, ma anche autoctona, mostrano il peso degli anni e dell’uso intenso. Tuttavia, chi ha modo di visitare la Repubblica Popolare Democratica di Corea a distanza di alcuni anni può notare chiaramente che anche in questo campo mezzi sempre più nuovi stanno cominciando ad affollare le strade, segno di un costante miglioramento.

Nel pomeriggio della stessa giornata è stato visitato l’Hana Information Center,multimato nel Dicembre 2012 e visitato, come documentato dalle fotografie, dallo stesso generale Kim Jong Il e dal suo successore, il maresciallo Kim Jong Un. Come illustrato, il generale Kim Jong Il appariva già molto sofferente ed affaticato durante la visita tuttavia non ha rinunciato all’ispezione minuziosa dei vari dettagli della nuova struttura, apprezzando il lavoro svolto. La data della visita del Caro Leader ha preceduto di soli due giorni quella della sua scomparsa; notizia che, ancora oggi, causa una sincera commozione ai presenti. 

In ogni caso, il Caro Leader aveva buon motivo di compiacersi della struttura, dotata di un gran numero di moderni personal computer e di una ben curata sala di proiezione a completa disposizione della cittadinanza, che vi può usufruire liberamente e gratuitamente per ascoltare musica, guardare film o accedere a vario materiale multimediale. Successivamente è stato visitato l’asilo infantile intitolato alla Madre del popolo coreano, la compagna Kim Jong Suk, moglie del Presidente Kim Il Sung e figura di spicco della lotta rivoluzionaria antigiapponese. All’ingresso ogni visitatore ha dovuto togliersi le scarpe ed indossare un camicie bianco per rispettare le severe norme igieniche vigenti nella struttura, che in effetti, dal punto di vista della pulizia e dell’ordine, è apparsa veramente efficiente.

Gli asili, nella Repubblica Democratica Popolare di Corea, non sono soltanto giornalieri, ma anche settimanali, nel senso che i bambini vengono lasciati in cura presso la struttura ad inizio settimana e ripresi dai genitori durante il fine settimana, in modo da assecondare al meglio gli impegni lavorativi delle famiglie. Visto il notevole lasso di tempo che alcuni bambini devono trascorrere lontano dalla famiglia, questi asili sono delle vere e proprie scuole per l’infanzia, dove si insegna la storia, la danza, l’arte, la musica, le prime nozioni di medicina e così via. Durante la visita abbiamo infatti potuto apprezzare i risultati dell’operato del personale della struttura notando bambini dai quattro ai cinque anni di età esibirsi in veri e propri concerti musicali dove eccellevano nella capacità di suonare batteria, pianole, strumenti tradizionali coreani a corde e così via, ed altri danzare sempre con un ottimo stile.
Nella giornata successiva è stata visitata la zona di confine demilitarizzata tra i due Stati della Penisola Coreana, presso Panmunjom, una località situata nei pressi della città di Kaesong.


Kaesong è l’unica grande città della Repubblica Popolare Democratica di Corea che presenta ancora un centro storico vero e proprio. Questa caratteristica è dovuta al fatto che durante l’avanzata dell’esercito sud-coreano e di quello nord-americano nella Guerra di Corea, questa città è stata occupata dalle truppe d’invasione, salvandosi così dai bombardamenti che invece hanno coinvolto tutte le altre città del Nord. Durante la visita è stato possibile ammirare l’edificio dove i comandanti delle due opposte fazioni hanno firmato l’armistizio nel 1953, le cui copie, in coreano e inglese, sono tuttora conservate e visionabili. A questo proposito vale la pena di ricordare che la guerra iniziata il 25 Giugno del 1950 non è stata provocata da un’aggressione da parte delle forze settentrionali ma come controffensiva in seguito a numerosi attacchi perpetrati da unità sud-coreane lungo la frontiera tra le due Coree.

Dopo la visita a Panmunjom si è consumato il pranzo in un tipico ristorante locale di Kaesong, al di fuori di quelli previsti per il normale circuito turistico dove si è potuto notare quanto siano false le notizie che dipingono la Repubblica Popolare Democratica di Corea come una perenne landa di affamati. Il ristorante, infatti, era pieno di clienti del luogo. Lungo il tragitto di andata e di ritorno dal confine, è stato possibile vedere altre piccole città e fattorie collettive: praticamente non vi è metro quadro di terreno coltivabile che non sia sfruttato. Molto del lavoro agricolo viene eseguito ancora manualmente, dal momento che gran parte delle attrezzature agricole – per lo più prodotte in patria o importate all’epoca dai Paesi socialisti – sono ormai giunte al limite della loro vita operativa e l’importazione dai Paesi europei da cui la Repubblica Popolare Democratica di Corea si rifornisce (per lo più dalla Germania, per motivi di qualità dei macchinari) risulta estremamente onerosa a causa delle sanzioni economiche a cui tuttora lo Stato è sottoposto.

Nella giornata successiva sono stati visitati i luoghi di divertimento di Pyongyang. Al di là di ciò che si possa pensare in Occidente, anche i Coreani si divertono al bowling, ai videogiochi, al biliardo, a ping pong, in numerosi sport individuali o di gruppo e in altre attività di intrattenimento come avviene in qualsiasi altra parte del mondo. Nella mattinata abbiamo avuto modo di assistere ad uno spettacolo di delfini ammaestrati molto suggestivo, dove erano presenti anche alcuni alunni di una scuola coreana di Osaka, mentre nel pomeriggio abbiamo potuto trascorrere qualche ora di svago presso il grande bowling di Pyongyang, anche questo gremito di persone. Il divertimento è proseguito, poi, per il resto della giornata nel nuovo parco divertimenti di Pyongyang. Questo parco di divertimenti, il più moderno dei tre che la capitale può contare, presenta strutture prodotte in Italia e assemblate a Pyongyang. Il luna park è molto ben tenuto, e conta quattro diverse strutture, tra cui il famoso ottovolante su cui è salito anche lo stesso maresciallo Kim Jong Un di recente. Sono stati provati tutti quanti i giochi e durante il giro sull’ottovolante, prima della partenza ovviamente, abbiamo potuto scambiare qualche parola con un giovane studente di Pyongyang che parlava inglese e varie impressioni sulla nostra visita nel suo Paese, sulla nostra provenienza, e così via, salutandoci affettuosamente.

La sera si è potuto assistere ai Giochi di Massa di Arirang, presso lo stadio Primo Maggio, un tradizionale evento che coinvolge migliaia di atleti e figuranti e che, a buon diritto, si fregia di un posto nel Guinness dei Primati. Lo spettacolo inizia con l’esibizione di numerosi figuranti che, attraverso costumi e tessere colorate, rappresentano simbolicamente scene della storia coreana, partendo dai tempi dell’occupazione giapponese fino ad arrivare alla liberazione finale del paese. La scena è composta da due parti principali: una sul campo centrale e l’altra sulla tribuna di fronte a quella in cui siedono gli spettatori. E’ soprattutto quest’ultima ad impressionare: ogni figurante, usando una tessera colorata, contribuisce a creare un immenso disegno che rappresenta uno slogan, un paesaggio, un tramonto, una scena di vita quotidiana e così via, come se si trattasse di un gigantesco mosaico in continuo cambiamento cromatico. Il coordinamento con le esibizioni degli atleti sul campo principale segue un tempismo perfetto. Questi ultimi si esibiscono in acrobazie veramente mirabili tanto dal punto di vista dell’equilibrio e del dinamismo quanto da quello della prestanza fisica. L’ultima coreografia prima della chiusura è rappresentata da un grande mappamondo portato da un gruppo di atleti assieme alla bandiera cinese e a quella coreana, a simboleggiare l’internazionalismo socialista e l’eterna amicizia tra la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica Popolare Democratica di Corea.

Nella giornata successiva è stata visitata la fabbrica di mattonelle, una moderna unità produttiva inaugurata pochi anni fa, alla cui costruzione ha contribuito anche una società italiana. Lo stabilimento è quasi completamente autosufficiente. Lo stesso gas combustibile utilizzato nei forni per la cottura del materiale è prodotto in loco, utilizzando come base di partenza il carbone di cui la Corea è particolarmente ricca. I vari reparti produttivi sono apparsi molto ben curati, puliti ed automatizzati, mentre gli operatori svolgono quasi esclusivamente compiti di supervisione della produzione. Ad ogni modo appaiano tutti ben equipaggiati con indumenti di sicurezza, tra cui delle particolari tute antivibrazioni, fenomeno rispetto cui la tollerabilità umana è sottoposta a severe limitazioni. 

L’atmosfera generale dell’unità produttiva dà generalmente un grande senso di efficienza ma anche di serenità e rilassatezza nell’ambiente di lavoro, un clima ben lontano dai presunti ritmi e dalle supposte modalità schiavistiche che qualcuno pensa siano in uso nel Paese asiatico. Al termine della visita ci è stato possibile visionare una sala dedicata all’esposizione dei vari prodotti della fabbrica che spazia dalle piastrelle per la pavimentazione domestica alle mattonelle per il rivestimento esterno degli edifici, o comunque ad uso decorativo, fino alle strutture utilizzate in piani cottura, sanitari o altri usi domestici. In ogni caso la produzione è parsa variegata e di buon livello qualitativo. Visto il successo della produzione attuale, l’imperativo industriale è ora quello del potenziamento degli impianti in modo da poter iniziare anche una maggiore esportazione, visto che i prodotti di questa industria sono quasi interamente assorbiti dal mercato interno.

Nel pomeriggio è stato poi visitato il Palazzo per gli Studenti di Pyongyang, una grande struttura con alte pareti a vetri e colonne adibita alle attività del doposcuola, che sono completamente gratuite e a disposizione di tutti gli alunni. In questa struttura gli alunni possono esercitarsi nell’uso di strumenti musicali di ogni tipo, nel ricamo, nello sport, nella pittura, nella recitazione e così via. La visita si è conclusa con uno spettacolo nel teatro della struttura in cui gli alunni, per lo più giovanissimi, si sono cimentati in spettacoli di gruppo o individuali acrobatici, musicali, canori e via di seguito. L’educazione giovanile nella Repubblica Democratica Popolare di Corea è un pilastro fondamentale nelle politiche sociali. La forte coesione sociale e nazionale di questo Paese, lo spirito comunitario, la quasi totale assenza di forme di degenerazione sociale e l’elevato grado di cultura del suo popolo è anche da attribuirsi ad un’opera di formazione scolastica estremamente efficiente e disciplinata che permette ad ognuno di esprimere il meglio delle proprie capacità e di porre queste sue capacità non al servizio del proprio ego, ma al servizio della nazione intera. Tant’è che nella Repubblica Democratica Popolare di Corea non esistono le borse di studio o gli attestati di merito individuali, ma solo i riconoscimenti di gruppo, in modo tale da spronare i più dotati all’aiuto e al miglioramento delle capacità degli studenti con più difficoltà, migliorando quindi il risultato complessivo.

Nella giornata successiva abbiamo visitato la Taean Friendship Glassworks, un’industria, anch’essa di recente costruzione, completamente indigena, che produce vetro di vario tipo. Anche in questo caso gli apparati produttivi sono completamente automatizzati, mentre il personale preposto può seguire le varie fasi di lavorazione con l’ausilio di strumenti elettronici ed informatici in sale isolate dall’ambiente produttivo, vista l’elevata temperatura presente nell’ambiente stesso. Le lastre di vetro qui prodotte vengono poi inviate ad altre linee di fabbrica a seconda dell’uso a cui sono destinate, e sottoposte a trattamenti supplementari, soltanto meccanici o anche chimici, nei casi in cui questi vetri siano destinati ad usi per i quali siano richieste particolari doti di resistenza. All’interno del cortile della fabbrica è presente un vero e proprio piccolo giardino orientale con aiuole, stagni, panchine all’ombra di salici e distributori automatici di bevande in cui i lavoratori possono concedersi una meritata pausa tra i vari turni o al termine della giornata lavorativa.

Nel pomeriggio si è potuto poi assistere ad uno spettacolo nel Circo di Pyongyang. Questo circo, naturalmente ospitato in una struttura permanente e ottimamente rifinita, ha una sola pista circondata da una grande tribuna, su cui si alternano le varie esibizioni. Gli atleti e i figuranti coreani hanno dato prova di avere grande abilità nell’arte circense. Lo spettacolo a cui si è assistito comprendeva diverse discipline classiche. Dalle acrobate che salivano e scendevano su lunghi nastri sospesi dal soffitto esibendosi in nei contorsionismi più esasperati, a bravissimi equilibristi, alle spettacolari esibizioni dei trapezisti. Non sono mancati naturalmente gli spettacoli di clown con partecipazione del pubblico e quello con gli orsi ammaestrati.

Sempre nel corso della giornata è stata visitata la fabbrica di birra Taedonggang. Anche questa unità produttiva è di recente fabbricazione e,come le altre, dà sempre l’impressione di un ambiente ben curato e gestito competentemente. Quello che colpisce di più all’ingresso nel cortile interno è un enorme piccionaia a forma di bottiglia. I macchinari per la bollitura e per la purificazione dell’acqua sono stati importati dalla Gran Bretagna, mentre il resto dell’impiantistica è di fabbricazione locale. All’interno della fabbrica, anche in questo caso tutto il processo di produzione è automatizzato e controllato elettronicamente da pochi supervisori in sale apposite. L’ambiente interno appare molto pulito ed ordinato. Al termine della visita agli impianti si è potuto degustare il prodotto finito. La birra Taedonggang, tanto quella distribuita alla spina sia quella confezionata in bottiglia non ha nulla da invidiare ai più noti prodotti europei, risultando decisamente superiore a molte birre commerciali occidentali. La fabbricazione, infatti, è praticamente artigianale, viste le dimensioni limitate dell’impianto. Se da un lato questo permette un controllo di qualità più accurato e la selezione di personale qualificato, dall’altro penalizza il destino commerciale di questa birra che altrimenti avrebbe buone possibilità di successo nell’esportazione. C’è quindi da augurarsi che il progressivo miglioramento economico in corso nello Stato asiatico possa permettere di aumentare la produzione di questa birra decisamente di ottimo livello.

Nella giornata successiva, la prima visita è stata al Cimitero dei Martiri della Rivoluzione, dislocato lungo il versante di una collina visibile dal centro di Pyongyang. In questo cimitero, dedicato a chi ha sacrificato la propria vita nella guerra contro l’occupazione giapponese prima e contro l’imperialismo atlantico dopo, riposa, fra gli altri eroi, la combattente rivoluzionaria Kim Jong Suk, moglie del Presidente Kim Il Sung. La dislocazione del cimitero non è casuale: è stata scelta in modo tale da permettere al Presidente Kim Il Sung la vista dei busti commemorativi di quelli che furono i suoi commilitoni. Posare un mazzo di fiori ai piedi di una delle lapidi ci è parso il minimo tributo a chi ha versato il proprio sangue per l’indipendenza del Paese.

La tappa successiva della giornata ha coinvolto un altro museo di Pyongyang, dove è possibile ammirare i risultati tecnologici e scientifici ottenuti nella Repubblica Democratica Popolare di Corea. Il museo è composto da sei diversi edifici a seconda dell’ambito trattato. Quelli visitati sono stati i due che illustrano rispettivamente l’industria dei beni di investimento e quella dei beni di consumo. Come è facile intuire dal suo emblema repubblicano, la principale fonte di produzione di energia elettrica del Paese è quella idrica, vista la presenza di numerosi corsi d’acqua ben sfruttabili allo scopo. Al secondo posto viene poi la produzione di elettricità mediante lo sfruttamento del carbone ed in seguito la produzione ottenuta mediante l’energia nucleare. Il museo comprende numerosi plastici che illustrano in dettaglio il funzionamento di queste centrali. 

Più avanti, altri plastici mostrano dettagliatamente la struttura e il funzionamento di cave e miniere che costituiscono una parte molto importante dell’economia nazionale. Il territorio della Repubblica Democratica Popolare di Corea è infatti ricco di carbone. Questo combustibile fossile, come è noto, deve essere sottoposto ad un trattamento di raffinazione e desolforazione per poter essere trasformato in carbon coke ed essere, quindi, utilizzato. Tale procedimento è molto dispendioso, per cui i Coreani hanno inventato un procedimento alternativo per ottenere un risultato molto simile ad un prezzo nettamente inferiore. Tale procedimento viene denominato ‘sistema Juché’, dal momento che una delle colonne portanti della filosofia coreana è costituita proprio dall’autosufficienza. Sempre dal carbone si ottiene, attraverso un procedimento chimico, il Vinalon. È un cotone sintetico che viene anch’esso definito ‘cotone Juché’.

L’industria nazionale è all’avanguardia anche nella produzione di magnesite, un minerale che viene poi utilizzato per la costruzione di mattoni resistenti ad altissime temperature. Altri settori di punta sono la siderurgia, la produzione di fertilizzanti e la filiera del cemento. Recentemente è stata avviata anche una produzione in larga scala di macchine utensili a controllo numerico. Il settore degli autotrasporti è tuttora in forte espansione dopo un ventennio di pesantissima crisi causata dalla mancata possibilità di reperire carburanti a prezzi accessibili. Le automobili e le motociclette prodotte nella Repubblica Democratica Popolare di Corea sono tuttora assemblate in loco, in attesa di poter avviare una produzione completamente autonoma.

Per quanto riguarda i beni di consumo, il nuovo corso di governo inaugurato dalla nomina del maresciallo Kim Jong Un alla seconda carica dello Stato (la prima è riservata per l’eternità al Presidente Kim Il Sung), ha dato grande importanza a questo genere di produzione allo scopo di incrementare quanto più possibile il tenore di vita della popolazione. Va ricordato infatti che la Repubblica Democratica Popolare di Corea è tuttora sottoposta ad un duro embargo da parte di molti Stati, per cui l’importazione di taluni beni è estremamente costosa, mentre per altri beni l’importazione è addirittura vietata. La soluzione è quindi nell’intensificazione della produzione autonoma di quanti più beni possibile, in attesa di un miglioramento della situazione internazionale. 

La produzione da noi visionata comprende abbigliamento, giocattoli, biciclette, strumenti musicali, articoli per la casa, attrezzature sportive e per il tempo libero e così via. Nel pomeriggio, ci è stato possibile ammirare una bellissima vista panoramica della città di Pyongyang, a oltre 1000 metri d’altezza, dall’alto di un rilievo montuoso stanziato poco lontano dalla Capitale. Questa collina è chiamata ‘Montagna del Drago’, poiché la leggenda vuole che nell’antichità un drago scendesse da questa montagna seminando il terrore tra gli abitanti della pianura. In ossequio a questa leggenda, nel curatissimo parco naturale che occupa la montagna, si erge una grande statua che raffigura un dragone. Il parco è un tradizionale luogo in cui gli abitanti di Pyongyang e dintorni possono trascorrere il tempo libero per un pic-nic, immersi nella natura rigogliosa o anche per dedicarsi alle scalate. La montagna comprende numerosi percorsi adibiti anche per questo tipo di attività oltre a parecchie aree di sosta munite di tavoli e sedie in pietra.

Nella giornata successiva la visita è proseguita con una visita all’Accademia delle Medicine Tradizionali Coreane. Questa struttura comprende un’ala dedicata allo sviluppo e alla ricerca scientifica ed un’ala dedicata alla cura dei pazienti mediante tecniche mediche ereditate dall’antichità,ma sviluppate secondo i più moderni criteri. La bontà dei trattamenti qui eseguiti è testimoniata dal fatto che l’ex primo ministro austriaco si è recato presso questa struttura per eseguire un trattamento contro il mal di schiena. Tra le tecnologie qui usate si possono annoverare uno strumento che attraverso la lettura elettronica di alcuni punti sul padiglione auricolare dà informazioni, mediante un computer, sullo stato di salute di specifiche parti del corpo. L’accademia è inoltre all’avanguardia nell’agopuntura, che viene eseguita, oltre che nel sistema tradizionale, anche nella sua variante chiamata “agopuntura elettronica”. 

Le parti interessate da problemi di vario genere, vengono sottoposte ad un’esposizione sotto particolari lampade che provvedono, attraverso la stimolazione di particolari punti, ad annullare le cause di dolori muscolo-scheletrici, problemi all’apparato digerente e così via. Molto importante in questo tipo di medicina è naturalmente l’uso di erbe con proprietà curative. Attraverso la lenta assimilazione di queste sostanze attraverso la cute, mediante appositi recipienti graduati, posti a contatto con la pelle sotto apposite campane di vetro, si può porre rimedio a svariati problemi sempre principalmente a livello muscolo-scheletrico, ma anche circolatorio o legati alla digestione e alla respirazione. 

Molta importanza nell’ambito della medicina tradizionale hanno anche i massaggi che qui vengono sovente praticati. Un altro sistema illustrato nel corso della visita è quello della combustione di erbe medicinali essiccate sulla cute dei pazienti. Poiché questo sistema ha la controindicazione di causare ustioni cutanee, gli scienziati della struttura hanno scoperto un particolare tipo di pietra che, posto tra l’erba in combustione e la cute, permette l’assimilazione dei principi attivi, senza ustionare la pelle dei pazienti. Dopo aver lasciato l’accademia medica, la visita è proseguita presso la biblioteca di Pyongyang. Ospitata in un grandioso edificio di stile tradizionale, che si affaccia sulla piazza Kim Il Sung, la biblioteca comprende numerose stanze, nelle quali i coreani possono dedicarsi alla ricerca e alla lettura di testi di ogni genere. Contrariamente a quanto qualcuno ha affermato, la biblioteca non comprende affatto soltanto testi di politica o ideologia, ma moltissimi libri dei generi più svariati, spaziando dalla narrativa, alla poesia, ai testi tecnici e scientifici, provenienti da tutto il mondo e facilmente consultabili tramite un sistema informatizzato, da cui è possibile selezionare i titoli o gli autori desiderati e che provvede automaticamente a prelevare i libri dalla postazione e renderli disponibili per il lettore.

Nella stessa biblioteca sono svolte anche lezioni di lingue straniere ed è possibile ascoltare moltissimi compact disc e cassette di musica internazionale. Oltre ai testi cartacei, naturalmente, è possibile anche accedere a milioni di documenti multimediali nelle sale appositamente attrezzate con computer. Ovunque l’atmosfera non pareva affatto tesa od opprimente, come qualcuno – non si sa come – si ostina a descrivere; semplicemente, come in qualsiasi luogo di studio di questo mondo, era soltanto silenziosa ed ordinata, mentre le persone tranquillamente proseguivano le proprie attività con la concentrazione che la lettura normalmente richiede. 

Dopo la visita alla biblioteca, la tappa successiva è stata quella della visita di un museo in cui sono esposte le riproduzioni di centinaia di affreschi, quadri e raffigurazioni di ogni tipo, da quelle più antiche risalenti al Medio Evo fino a quelle più recenti.
La nazione coreana è estremamente attenta alla salvaguardia della propria identità culturale, quindi va da sé che grande importanza sia data alla storia del Paese. Contrariamente a quanti molti pensano, infatti, il socialismo coreano non si è affatto limitato a dare al passato pre-socialista un’etichetta generica di “epoca di barbarie”, così liquidandolo, ma anzi è andato alla scoperta delle radici storiche della civiltà coreana, dedicando molta attenzione allo studio del passato, analogamente a quanto avviene nella Repubblica Popolare Cinese, soprattutto dopo la sconfitta dei fermenti prodotti dalla rivoluzione culturale. Testimonianza di questa linea è la cura con cui sono conservati i siti archeologici e, nel caso di specie, la cura con cui sono state fedelmente riprodotte le opere qui visionabili. Le opere più antiche risalgono al XIII sec. e raffigurano principalmente scene di battaglia o degli antichi regnanti, ma anche la vita quotidiana della popolazione e alcune riproduzioni delle città e dei villaggi dell’epoca. Le opere di epoca più recente, risalenti al periodo compreso tra i secc. XIV-XIX, non si discostano molto da quelli precedenti sia nelle tematiche raffigurate che nello stile artistico, pur essendo naturalmente più accurate nella raffigurazione ed introducendo tematiche riguardanti la bellezza della natura e dei paesaggi.

Le opere del periodo postrivoluzionario naturalmente riprendono le linee classiche del realismo socialista, qui declinate nella loro rielaborazione locale, ossia il Juché. Le raffigurazioni, decisamente più accurate che in passato, sono caratterizzate da scenari di battaglia durante la lotta antigiapponese e la Guerra di Liberazione contro l’imperialismo atlantico, ma soprattutto da scene di vita quotidiana, sia lavorativa che in momenti di svago, come molte delle opere precedentemente visionate nelle altre esposizioni, senza trascurare naturalmente paesaggi, tramonti, e altre rappresentazioni del genere.

Un’altra importante tappa della nostra visita è sicuramente quella alla nave-spia americana Pueblo, tuttora ormeggiata lungo il fiume Taedong. Questa nave, varata nel 1942 come nave da carico, è stata successivamente attrezzata come nave-spia dalla marina statunitense, ed equipaggiata con sofisticate apparecchiature elettroniche per monitorare le attività radiofoniche coreane, pur mantenendo esteriormente l’aspetto del tutto pacifico di una nave mercantile. Sicuri del loro camuffamento, gli Stati Uniti inviarono questa nave nelle acque territoriali della Repubblica Democratica Popolare di Corea nel 1968. Tuttavia il trucco venne scoperto dalla Marina Coreana che aprì il fuoco con l’artiglieria contro la nave americana, causando la morte di un membro dell’equipaggio e l’immediata resa di tutti gli altri.

Questo episodio avvenne nel gennaio del 1968, ma i marinai americani restarono prigionieri in Corea fino al giorno di Natale dello stesso anno, ossia fino al momento in cui il governo americano non porse le sue scuse ufficiali per questo attentato alla sovranità di un altro Stato. La Pueblo in effetti, dall’esterno non ha nulla di diverso da una normalissima nave mercantile, se non fosse per una mitragliatrice Browing posizionata a poppa. L’interno rivela però la vera natura della nave con una stanza centrale, le cui pareti sono letteralmente lastricate di elaboratori elettronici, radar, oscilloscopi, apparecchi di decodifica, apparati radio e quant’altro, che ben difficilmente troverebbero impiego su di una nave addetta al semplice trasporto commerciale. Sempre all’interno è possibile osservare le lettere del capitano della nave, destinate al governo americano, in cui sono ben chiari i veri intenti di quella missione, e le lettere di scuse ufficiali indirizzate alle autorità coreane, oltre a numerose foto che rammentano degli eventi che hanno caratterizzato questa vicenda.

Naturalmente questo non fu affatto l’unico tentativo (così come non fu l’ultimo) di spionaggio ai danni della Repubblica Democratica Popolare di Corea. In tante altre occasioni, gli Stati Uniti e la Corea del Sud violarono le acque territoriali o lo spazio aereo della Repubblica Democratica Popolare di Corea con navi inviate sotto mentite spoglie o aerei, fino a giungere ai giorni nostri quando l’impiego di droni e hackers ha reso l’opera di spionaggio notevolmente meno onerosa e molto più dettagliata. La nostra ultima giornata di visita politica nello Stato asiatico ha compreso anche una lunga passeggiata nel quartiere più moderno della città, dove sorgono il nuovo teatro a forma circolare e le nuove statue in bronzo del Presidente Kim Il Sung e del Generale Kim Jong Il, ai quali la nostra delegazione ha voluto portare un tradizionale mazzo di fiori.


CONSIDERAZIONI FINALI


Capita di leggere su certe pubblicazioni come i cittadini di Pyongyang siano persone cupe, tristi, prive di sentimenti, schive o sospettose ed altre calunnie di questo tipo. Tutti questi approcci rispetto al sistema politico e culturale del Paese, non solo denotano un atteggiamento prossimo alla xenofobia rispetto ad una realtà straniera, ma mostrano anche la potenza mediatica dell’imperialismo. Come in qualsiasi altra città del mondo ci sono persone che camminano per i fatti loro, altre che si scambiano opinioni, altre ancora che ridono e scherzano o che utilizzano il proprio telefono cellulare e leggono il giornale, sole o in compagnia. Generalmente, l’apparenza dei Coreani è quella di persone di certo non inclini all’esibizionismo o all’ostentazione eccessiva dei propri sentimenti, ma questa è una caratteristica comune a tutte le popolazioni orientali, tranne quelle ormai troppo “occidentalizzate”. L’aria che si respira a Pyongyang è quella di una serena compostezza e sobrietà dei costumi, senza scadere negli eccessi dall’una come dall’altra parte.

La nostra visita nella Repubblica Democratica Popolare di Corea si è conclusa con una cena in un ristorante del centro di Pyongyang, dove eravamo i soli stranieri. C’è chi dice che difficilmente le guide coreane siano inclini a parlare dei problemi del proprio Paese e dissuadano i turisti dal farlo con atteggiamenti platealmente ostili. Nel nostro caso questo non è affatto avvenuto. Anzi, è stata proprio una delle nostre guide a chiedere ai membri della delegazione cosa non avessimo gradito del suo Paese. Tranquillamente ognuno ha esposto le proprie perplessità e le proprie opinioni durante la cena in un’atmosfera decisamente rilassata ed amichevole, in piena tranquillità. Le difficoltà che ancora attraversa la Repubblica Democratica Popolare di Corea non sono state affatto nascoste o negate dalle nostre guide, che invece si sono dimostrate ben consce di tutti i problemi che tuttora affliggono in alcuni ambiti la popolazione, mostrandosi tuttavia estremamente ottimisti per il futuro. Il sistema socialista e le sue garanzie non sono mai venute meno anche nei momenti più duri. Lo Stato ha sempre provveduto, nei limiti delle sue possibilità del momento, a dare ad ogni cittadino un posto di lavoro, un alloggio, capi di vestiario, oggetti di uso domestico, alimenti e tutela sanitaria. La politica socialista non ha mai mirato a creare delle élite di ricchi, ma sempre ad innalzare il livello di vita di tutta la popolazione ed ora il processo di lento ma progressivo miglioramento appare ormai consolidato e questo è un fatto che anche i reticenti organi di informazione sudcoreani ed occidentali hanno dovuto ammettere.

Da parte nostra non possiamo che ammirare la caparbietà di questo piccolo Stato che, pur dovendo sopportare sacrifici anche molto pesanti, non ha mai abbassato la testa di fronte a nemici decisamente più forti che tuttora non aspettano che l’occasione buona per ridurre la Repubblica Democratica Popolare di Corea ad una landa devastata, come toccato ad altre nazioni che si sono illuse di poter mantenere la propria sovranità e il proprio tenore di vita, pur rinunciando ad una efficace difesa militare. Al termine della cena, le nostre guide ci hanno invitato a ritornare quando avessimo voluto e che, nel volgere di un lustro, avremmo visto ulteriori consistenti miglioramenti. Da parte nostra non possiamo che condividere la fiducia dei Coreani in un avvenire luminoso sotto la bandiera del Socialismo Juché. Perché ciò, però, possa essere un traguardo stabile e duraturo, è compito di ogni persona cosciente porre fine per sempre alla minaccia dell’imperialismo internazionale ed impegnarsi per costruire un futuro di popoli e nazioni finalmente sovrane e libere dai meschini interessi di pochi privilegiati.


stampalibera.com

 

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