venerdì 23 novembre 2012

Cancellare il debito, si può e in modo pulito e indolore – 

Uno studio di due economisti del FMI lo rivela

CANCELLARE IL DEBITO? SI PUO’, SECONDO DUE ECONOMISTI DEL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE
MARIA GRAZIA BRUZZONE 04/11/2012 La Stampa 4 novembre 2012
Eliminare il debito pubblico degli Usa con un colpo, e fare lo stesso con Gran Bretagna, Italia, Germania, Giappone, Grecia eccetera. E nello stesso tempo alimentare la crescita, stabilizzare i prezzi e spodestare i banchieri. In modo pulito e indolore, e più rapidamente di quel che si può immaginare. Con una bacchetta magica? No. Con una legge semplice, ma capace di sostituire l’attuale sistema attraverso il quale a creare denaro dal nulla sono le banche private.
Un provvedimento che obblighi le banche a una riserva del 100%.

Non lo propone Beppe Grillo, che pure dal suo blog offre analisi e proposte peraltro mica molto diverse, linkando un sito dove i militanti del M5S trovano bell’e pronto un “Kit” tutto da imparare e divulgare con disegni, tabelle e semplici ma articolate spiegazioni su “Come abbassare il debito” (anche se poi nel Programma del M5S di questi temi non si trova traccia, per ora ).
Con tutto il rispetto per Grillo& soci, parliamo di cose a ben altro livello. Dello studio di due economisti del Fondo Monetario Internazionale, Jaromir Benes and Michael Kumhof intitolato The Chicago Plan Revisited. Una proposta rivoluzionaria e “scandalosa” che sta diventando un cult in giro per il mondo, assicura il Telegraph che lo sintetizza, e suscita un dibattito acceso. Il che è già un sintomo della sua attualità.
Un mondo in debito. Che il sistema economico (capitalistico) sia inceppato lo segnala un dato: il debito globale è arrivato all’esorbitante somma di $200 trilioni (200mila miliardi), mentre il PIL del mondo è inferiore ai $70 trilioni. Vale a dire che il rapporto debito/ PIL globale rappresenta il 300% del PIL. E a detenere questa immensa montagna di debito – che continua a crescere – sono più le economie avanzate che i paesi in via di sviluppo.

Il cuore e la croce del problema è quindi in Giappone, Usa e in buona parte dell’Europa (compresa l’Italia dove gli enormi interessi sul debito continuano…ad accrescere il debito, in un circolo vizioso).
Di qui il dibattito. “Catalizzato a sorpresa dal FMI, che ha rispolverato una vecchia idea: semplicemente cancellare il debito, farlo sparire”, osserva Zerohedge, con vari link.

Allarme & Contrordine del FMI. A scatenare il recente dibattito è stato in realtà l’ultimo Rapporto del Fondo Monetario Internazionale, di ottobre, che – come racconta Linkiesta – punta il dito sulle politiche di austerità volte a portare sotto controllo i debiti pubblici. Queste politiche potrebbero portare in recessione le economie, con dei costi politici oltre che economici non indifferenti.

Le politiche di austerità hanno, infatti, prodotto un effetto indesiderato e imprevisto, ossia una flessione delle economie maggiore delle aspettative.
Le conseguenze di tagli e aumenti delle tasse deprimono l’economia più di quanto si era calcolato, anche perché la politica monetaria è già espansiva, sostiene l’FMI nel suo rapporto.
(Sì, avevano sbagliato i calcoli, il post tenta anche di spiegare come e perché. Come dire che tartassare i cittadini porta benefici relativi all’economia in quanto non innesca ma anzi deprime l’auspicata “Crescita”. Una bella correzione di rotta, rispetto alle ricette seguite fin qui). (1).

Non solo. “Il Fondo Monetario e altri di quel giro sarebbero realmente preoccupati dalla prospettiva di un’altra crisi, anche peggiore di quella del 2008. Sembra che il FMI pensi che l’austerità possa essere usata per giustificare la privatizzazione di servizi pubblici e che tagliare il conto dei benefici sia stato eccessivamente enfatizzato, con conseguenze potenzialmente disastrose”. Così Business Insider, ( qui e qui) che riferisce la domanda che aleggia per Wall Street: il debito non lo si potrebbe cancellare?
Che fare? Ecco quindi la ricerca di nuove idee per frenare questa crescita immane del debito pubblico, particolarmente grave in paesi come Usa e Gran Bretagna che hanno anche messo centinaia e centinaia di miliardi nel tentativo, mica tanto riuscito, di fornire credito per rianimare l’economia ( i cosiddetti QE).
Non a caso se ne parla ad alto livello proprio a Londra, dove in discussione sono tuttavia varianti meno estreme di quella sostenuta dai due economisti di cui sopra.

Ad essere dibattuta lì – come racconta l’Linkiesta – è la possibilità/ convenienza di cancellare il debito pubblico in mano alla banca centrale inglese, la Bank of England, che è pari al 25% del debito emesso. Cancellandolo, si pagherebbero molto meno interessi, si libererebbe liquidità e si potrebbe rendere meno dura l’austerità. Il dibattito ferve sull’autorevolissimo Financial Times ( qui), su Alphaville, noto blog dello stesso FT, e ancora qui. Con una prevalenza di contrari, par di capire.
Il piano rivoluzionario. Ma torniamo alla ben più radicale proposta dei due economisti del FMI. Il lavoro è intitolato ” The Chicago Plan Revisited” in quanto rilancia e approfondisce il Chicago Plan originario di altri due economisti, Henry Simons della Chicago University – culla del liberismo – e Irving Fisher, nel bel mezzo della Grande Depressione degli anni Trenta. Lo riassume bene il Telegraph citato, dove Ambrose Evans-Pritchard segnala anche favorevoli e contrari.
Cancellare il 100% del debito. “Il trucco è rimpiazzare il nostro sistema dove il denaro è creato da banche private – per il 95-97% della disponibilità di denaro – con denaro creato dallo Stato. Vorrebbe dire tornare alla norma storica, prima che il re inglese Carlo II mettesse in mani private il controllo del denaro disponibile”. Nel 1666.
“Significa un assalto alla ‘ riserva frazionale’ delle banche (termine che ricorre da tempo su blog considerati cospirazionisti che parlano di ‘ signoraggio’). Se i prestatori vengono forzati ad avere il 100% di riserve proprie dietro i depositi e i prestiti, perdono l’esorbitante privilegio di creare denaro dal nulla.
La nazione riguadagna il controllo sulla disponibilità di denaro in giro. Non ci sono più corse agli sportelli e si riducono i perniciosi cicli di espansione/contrazione del credito”.
Un po’ di Storia. “Gli autori del primo Piano di Chicago avevano pensato che i cicli di espansione/contrazione del credito portano a una insana concentrazione di ricchezza. Avevano visto nei primi anni Trenta i creditori pignorare gli agricoltori ridotti sul lastrico, accaparrarsi le loro terre o comprarsele per un pezzo di pane.
Oggi, gli autori della nuova edizione di quel piano sostengono che il trauma del ciclo di credito che si espande/contrae – causato dalla creazione privata del denaro – è un fatto storico che si ritrova già coi giubilei del debito nell’antica Mesopotamia, e nell’antica Grecia, e a Roma, a un certo punto(2).
Il controllo sovrano (dello Stato) o del Papa sulla moneta corrente rimase tale (in Gran Bretagna) per tutto il Medio Evo, fino al 1666, quando è cominciata l’era dei cicli di espansione/contrazione. Certo, si aprì la strada alla rivoluzione agricola e subito dopo alla rivoluzione industriale al più grande balzo economico e industriale mai visto. Ma non cavilliamo” ironizza il Telegraph, che non prende partito (3).
I miti. E’ un mito – divulgato innocentemente da Adamo Smith – che il denaro si sia sviluppato come mezzo di scambio basato sull’oro, o legato ad esso, dicono gli economisti del FMI.
Come è un mito, puntualizza lo studio degli economisti del FMI, quel che si impara sui libri, che sia la Fed, la banca centrale americana, a controllare la creazione di denaro.

In realtà il denaro è creato al 95-97% dalle banche private. Attraverso i prestiti.
Le banche private infatti non fanno prestiti in quanto hanno depositi in denaro. Il processo è esattamente il contrario, spiega un post di istockanalyst, che ci pare molto ben fatto.

Ogni volta che una banca fa un prestito, scrive nel computer il credito (più gli interessi) e nel suo bilancio la passività corrispondente. Ma di quel denaro che presta la banca ne ha una minima parte. Se lo fa prestare da un’altra banca, o dalla banca centrale. E la banca centrale a sua volta crea dal nulla il denaro che presta alla banca.
Nel sistema attuale infatti la banca non è obbligata ad avere riserve proprie altro che per una frazione minima di quello che presta.
In un sistema a “riserva frazionale” ad ogni denaro creato dal nulla corrisponde un debito equivalente. Il che produce un aumento esponenziale del debito, fino al punto che il sistema collassa su sé stesso.

Gli economisti del FMI, rovesciano la situazione. La chiave è la separazione netta fra quantità di denaro e quantità di credito, fra creazione di moneta e crediti.
I prestiti sarebbero interamente finanziati da riserve, ovvero guadagni accantonati. Vale a dire che i prestatori (le banche) non potrebbero più creare nuovi depositi dal nulla ovvero generare i loro finanziamenti attraverso i prestiti, un privilegio straordinario ed esclusivo, negato ad altri business.

Le banche diventerebbero quel che erroneamente si crede che siano, puri intermediari che devono procurarsi all’esterno i loro fondi per essere in grado di fare prestiti.
La Fed – la banca centrale Usa – si approprierebbe per la prima volta del controllo sulla disponibilità di denaro, rendendo più facile gestire l’inflazione.
Di fatto, viene osservato, la banca centrale verrebbe nazionalizzata diventando una branca del Tesoro (ora la Fed fa capo a banche private). E il debito nazionale si trasformerebbe in un surplus. Le banche private dovrebbero infatti prendere a prestito riserve per compensare le eventuali passività.
Lo Stato non sarebbe più debitore, ma diventerebbe un creditore, in grado di acquistare il debito privato, assicurano gli economisti, che hanno fatto calcoli complicatissimi con metodi iper moderni, viene detto. Anche il debito privato verrebbe così cancellato.

Non c’è da stupirsi se già l’originario Chicago Plan, per quanto deliberato da commissioni del Congresso americano, non divenne mai legge, a dispetto del fatto che a caldeggiarlo furono ben 235 economisti accademici, allora e anche nel dopo guerra, compresi il liberista Friedman (nel 1967) e Tobin (il padre della Tobin tax, nel 1985), mentre allora Keynes, il padre di politiche economiche che passano per “stataliste”, lo osteggiò.
“In pratica il piano morì per la fortissima resistenza del settore bancario”.
Le stesse banche che oggi recalcitrano davanti agli obblighi di riserva un po’ più alti (ma sempre dell’ordine del 4-6%) imposti dalle regole di Basilea III, comunque insufficienti a fare da deterrente in caso di nuova crisi. Le stesse che spendono miliardi in lobbying e in contributi elettorali ai candidati presidenti. E che davanti al nuovo Chicago Plan minacciano sfracelli e sostengono che “vorrebbe dire cambiare la natura del capitalismo occidentale”.

Il che forse è vero. Magari però sarebbe un capitalismo migliore. E meno rischioso.
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NOTE (e scusate la lunghezza del post)
(1) Ricette allineate a un noto studio della BRI- la Banca dei Regolamenti Internazionali, la banca delle banche – che nel 2010, per arginare i debiti pubblici crescenti nei paesi ricchi, dove la popolazione invecchia di più, suggeriva di tagliare la spesa sociale, pensioni, lavoro, sanità e altri benefici del welfare. Peraltro, in quel rapporto il debito pubblico italiano, per quanto alto, risultava tra quelli meno in aumento.

(2) I due economisti ricordano il piano di Solone, nell’Atene del 599 A.C, che cancellò i debiti contratti verso gli oligarchi creditori, restituì le terre, fissò i prezzi delle materie prime, e ristabilì la creazione pubblica di moneta esente da debito. E la Lex Aeternia dell’antica Roma nel 454 A.C, mantenuta finché il Senato perse il controllo del denaro.

(3) In realtà già a fine ‘800 ci fu un ciclo negativo, poi la Prima Guerra Mondiale, la Grande Depressione – a cui tentarono di reagire gli economisti del Chicago Plan – finita di fatto con la Seconda Guerra Mondiale e l’espansione seguente, quindi ancora varie crisi, sempre più ravvicinate, fino a quella odierna, più grave perché globale e favorita da regole alla finanza sempre più lasche.


   

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