lunedì 19 novembre 2012

Lo Yoga

Lo Yoga è una scienza senza tempo, basata su regole che si sono stabilite dalle consuetudini e sviluppatasi nel corso di migliaia di anni, che si occupa del benessere fisico, morale, mentale e spirituale dell'uomo nel suo insieme. Il primo libro per ridurre a sistema questa pratica fu il trattato classico degli Yoga Sutra (o Aforismi) di Patañjāli che risale al 200 a. C.


 La parola Yoga deriva dalla radice sanscrita "Yug" che significa unire, legare assieme, aggiogare, dirigere e concentrare l'attenzione di, usare ed applicare. Significa anche unione o comunione, ed è la vera unione della nostra volontà con quella di Dio; implica quindi disciplinare l'intelletto, la mente, le emozioni e la volontà. Significa equilibrio dell'anima che rende capaci di guardare alla vita uniformemente in tutti i suoi aspetti.


Lo Yoga è uno dei sei sistemi ortodossi della filosofia indiana. Esso fu messo assieme, coordinato e ridotto a sistema da Patañjāli, nella sua opera classica, lo Yoga Sutra, che è composto da 185 aforismi. Nel pensiero indiano, tutto è permeato dallo Spirito Universale Supremo ( Paramātmā o Dio) di cui lo spirito umano individuale (jivātma) , ne è una parte. Il sistema Yoga è così chiamato poiché insegna i mezzi con i quali lo "jivātma" può essere unito, o entrare in comunione con il "Paramātmā", così da assicurare la liberazione (moksa). Colui che segue il cammino dello Yoga è uno "yogi" o "yogin". 

Quando la pratica dello Yoga placa l'agitazione della mente, dell'intelletto e dell'io, lo yogi con la grazia dello Spirito in lui, trova completo appagamento. Cosi conosce l'eterna gioia, che è al di là del confine dei sensi e che la ragione non può affermare. Rimane in questa realtà e non si allontana da essa. Ha trovato il tesoro al disopra di tutti gli altri. Non vi è niente di più alto di tutto ciò. Colui che lo ha capito, non può essere toccato dalle maggiori sventure. Questo è il vero significato di Yoga - una liberazione dal contatto col dolore e con la sventura -.


Come un diamante ben tagliato presenta molte sfaccettature, ognuna delle quali riflette un diverso tono di luce, così la parola Yoga, con ciascuna sfaccettatura riflette una diversa ombra di significato e rivela aspetti differenti dell'intera gamma dello sforzo umano diretto al raggiungimento della pace interiore e della felicità. La Bhagavad Gitā, il testo sacro di maggior riferimento per questa disciplina, fornisce varie spiegazioni sul significato di Yoga e dà molta importanza al Karma Yoga, lo Yoga che si attua con l'azione, dicendo:
'Solamente il lavorare è tuo privilegio; sii libero dall'attaccamento ai frutti che ne possono derivare. Non fare mai in modo che i frutti dell'azione siano il tuo movente, e non smettere mai di lavorare. Lavora nel nome del Signore, abbandonando i desideri egoistici. Non essere incline al successo o al fallimento. Questo equilibrio si chiama Yoga.'

Lo Yoga è stato anche definito come saggezza, armonia e moderazione nel lavorare o abile modo di vivere. Lo Yoga non è per chi mangia con troppa ingordigia, né per chi muore di fame. Non è per chi dorme troppo, né per chi sta eccessivamente sveglio. 


Lo Yoga distrugge ogni dolore e pena con la moderazione nel mangiare e nel riposare, regolando le attività ed armonizzando il dormire e il vegliare. Il Kathopanishad descrive lo Yoga nel modo seguente:
'Quando i sensi si sono calmati, quando la mente riposa, quando l'intelletto non tentenna - allora, dice il saggio, il più alto stadio è raggiunto. Questo costante controllo dei sensi e della mente è stato definito Yoga. Chi raggiunge tale controllo è libero dalla delusione.'
Per vincere una battaglia, un generale esamina il terreno e il nemico, e prepara i suoi piani in funzione di essi; in un modo simile lo yogi progetta la conquista di sé stesso.
  
Maestro e discepolo  

Lo studio dello Yoga non è come quello che porta gli studenti al conseguimento dei loro titoli di studio nel minor intervallo di tempo. Gli ostacoli, le avversità e le tribolazioni nel cammino dello Yoga possono essere eliminati in gran parte con l'aiuto di un Guru (la sillaba "Gu" significa oscurità e "ru" significa luce). Soltanto un "vero" Guru illuminato è capace di eliminare l'oscurità e guidare i discepoli alla luce. 


La concezione di un Guru è molto profonda e significativa: non è soltanto una guida normale, ma è un maestro spirituale che insegna un modo di vivere, e non semplicemente come guadagnare i mezzi per sopravvivere. Trasmette la conoscenza dello Spirito e colui che riceve tale sapere è un Śisya, un discepolo. Il rapporto che esiste tra un Guru e un Śisya è molto particolare ed è più completo di quello tra genitori e figlio, tra marito e moglie o tra amici. 


Un Guru è libero dall'egoismo e guida con devozione il suo discepolo verso lo scopo finale senza alcuna attrattiva di fama o di guadagno. Mostra il cammino verso Dio e osserva il progresso del discepolo, guidandolo lungo quella strada. Ispira fiducia, devozione, disciplina, profonda comprensione ed illuminazione attraverso l'amore. Avendo fede nel suo allievo, il Guru si sforza per vedere se questi rende propri i suoi insegnamenti. Lo incoraggia a fare domande e lo spinge a conoscere la verità con domande ed analisi.


Un Śisya deve possedere i requisiti necessari per raggiungere vette più alte e deve avere fiducia, devozione e amore per il suo maestro. Esempi perfetti dei rapporti fra un Guru ed un Śisya sono quelli di Sri Krishna e Arjuna nella Bhagavad Gitā e di Paramahansa Yoganada e Sri Yukteswar, due tra i più perfetti kriya yogi dell'India moderna. Arjuna e Yoganada raggiunsero la "Luce" con l'acutezza della loro mente, con il loro ardore e il loro spirito desideroso di sapere.

 Il Śisya deve essere avido di conoscere e possedere spirito di umiltà, perseveranza e tenacia nel proposito; non deve andare dal Guru senza interesse. Deve possedere una fede dinamica e non si deve scoraggiare se non può raggiungere il suo scopo entro il tempo da lui prefisso. Occorre molta pazienza per calmare la mente inquieta che è piena di innumerevoli esperienze passate e di samskāra, cioè il residuo accumulato di pensieri ed azioni passati. 


Ascoltando semplicemente la parola del Guru non è possibile al Śisya assimilare gli insegnamenti. Questi dovrebbe sopra ogni cosa amare ed avere moderazione ed umiltà. L'amore genera il coraggio, la moderazione crea l'abbondanza e l'umiltà il potere. Il coraggio senza amore è brutale, l'abbondanza senza la moderazione conduce invece ad eccessiva indulgenza e decadimento ed il potere senza l'umiltà comporta arroganza e tirannia. Il "vero" Śisya impara dal suo Guru un potere che non lo abbandonerà mai poiché egli ritorna al primevo Dio, la Fonte del Suo Essere.

Gli stadi dello Yoga  

I mezzi corretti sono altrettanto importanti del fine. Patañjāli enumera tali mezzi come gli 8 arti o stadi dello Yoga nella ricerca dell'anima. Essi sono:



  • I primi tre stadi sono le ricerche esteriori (bahiranga sādhanā): Yama e Niyama controllano le passioni e le emozioni dello yogi e lo tengono in armonia con i suoi simili. Le āsanas mantengono il corpo sano e forte e in armonia con la natura. Così, lo yogi si libera dalla coscienza del corpo, che conquista, e di cui fa un mezzo adatto all'anima.

  • I successivi due stadi, conosciuti come le ricerche interiori (antaranga sādhanā) sono Prānāyāma e Pratyāhāra: insegnano all'aspirante come controllare la respirazione e per suo mezzo la forza vitale, o prana, e la mente, cosa che aiuta a liberare i sensi dalla schiavitù degli oggetti del desiderio.

  • Gli ultimi tre stadi tengono lo yogi in armonia con se stesso e il Creatore, e sono chiamati antarātma sādhanā, la ricerca dell'anima. Dhārana, Dhyāna e Samādhi conducono lo yogi nei più intimi recessi della sua anima. Egli non guarda verso il cielo per trovare Dio perché sa che Egli è in lui, conoscendolo come Antarātmā (l'intimo io). Con la profonda meditazione, il sapiente, il sapere e il conosciuto diventano una cosa sola. Per chi vede, il vedere e l'oggetto della vista non hanno vita separati l'uno dall'altro: come per un grande esecutore musicale che diventa uno col suo strumento e la musica che da esso proviene, cosi lo yogi resta fedele alla propria natura e capisce se stesso (Ātman), la parte dello Spirito Supremo in lui.
L'anima è la regina dei sensi. Colui che ha conquistato la propria anima, sensi, passioni, pensiero e ragione è un re tra gli uomini, adatto per il Rāja Yoga, l'unione reale con lo Spirito Universale, ed è illuminato da una luce interiore. Colui che ha conquistato la propria mente è un Rāja Yogi. 

La parola Rāja significa re e l'espressione Rāja Yoga significa completa padronanza di se stessi. Sebbene Patañjāli indichi i mezzi per controllare la mente, pure in nessuno dei suoi aforismi afferma che questa scienza è Rāja Yoga, ma la chiama Astānga Yoga o gli otto stadi dello Yoga. Poiché essa significa padronanza di se stessi la si può chiamare scienza del Rāja Yoga. 

Swātmārāma, l'autore dell'Hatha Yoga Pradipika (hatha significa forza, o sforzo determinato), chiamava lo stesso sentiero Hatha Yoga, poiché richiedeva una rigorosa disciplina. Generalmente si dice che Rāja Yoga e Hatha Yoga siano del tutto distinti, diversi ed opposti l'uno all'altro, che lo Yoga Sutra di Patañjāli si occupi di disciplina spirituale e che I'Hatha Yoga Pradtpikà di Swātmārāma affronti unicamente il problema della disciplina fisica. Non è propriamente così, poiché Hatha Yoga e Rāja Yoga si completano l'uno con l'altro a formare un unico accostamento alla liberazione. 

Come un montanaro ha bisogno di scale a pioli, di funi e di ramponi nonché di forma fisica e disciplina per scalare i picchi ghiacciati dell'Himalaya, così l'aspirante allo Yoga ha bisogno della conoscenza e della disciplina dell'Hatha Yoga di Swātmārāma per raggiungere le cime del Ràja Yoga trattato da Patañjāli. Il Rāja Yoga combina metodi relativamente semplici di disciplina corporea con profonde tecniche di meditazione che sono in grado di portare alla più alta realizzazione spirituale. 


La pratica e le tecniche di questo tipo di yoga sono anche conosciute con il nome di Kriya Yoga, reintrodotto nell'India moderna, e successivamente nel mondo intero, per mezzo e volontà del leggendario yogi immortale "Babaji", che nel 1861 istruì il suo discepolo Shyama Charan Lahiri a questa "arte scientifica" permettendogli, secondo una sua richiesta, di diffonderla nuovamente dopo che era andata perduta nell'Era oscura del Kali Yuga. Questo sentiero dello Yoga è la fonte per la calma e la tranquillità e prepara la mente ad un assoluto, completo autoabbandono a Dio, in cui tutto si fonde nell'Uno.



Tratto da: http://kriyayoga.altervista.org/kriya.html


   

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