mercoledì 25 luglio 2012

Stagnaro e Caotino: Il Fattore C - Il totem

Il Giornale Online

C’è un collegamento tra tutte le cose, come il sangue che unisce i membri di una famiglia. Tutto ciò che accade alla Terra, accade ai figli della Terra. Non è solo l’uomo a tessere la tela della vita. Tutto ciò che fa alla tela della vita, lo fa a se stesso.


Capo Seattle


Un equilibrio con dinamiche complesse pare nasca da una legge di un qualche tipo: deterministica, stocastica, mista, non è importante ora saperlo. Alcuni sistemi complessi sono formati da agenti indipendenti che interagiscono, si adattano, evolvono, sviluppano forme di auto-organizzazione che consentono al sistema di acquisire proprietà collettive (che non sono proprie dei singoli agenti): queste proprietà si chiamano EMERGENZE. (esempi di sistemi emergenti: esseri umani che interagiscono creando mercato, culture, religioni; atomi che per effetto della loro azione danno luogo all’emergere di molecole). ...


La formica femmina fecondata e futura regina, imprigionata nella terra, nel suo seme testimonia una proprietà emergente. Prima di compiere il volo nuziale tale femmina non era mai uscita, e non aveva mai conosciuto i lavori del formicaio. Improvvisamente, nella sua possibile tomba, dove niente può più entrare, essa sa tutti i mestieri, senza averli mai sperimentati prima. Scava nel terreno, vi crea ricettacoli, si prende cura di uova e larve, apre il guscio delle sue ninfe. Nonostante abbia organi meno specializzati di quelli delle operaie, è in grado di fare tutto quello che fanno loro. 

Ciascuna cellula (formica) conserva in sé l’anima collettiva (proprietà emergente o emergenza) del formicaio [v. 2.3], anche quando ne è divisa, e prosegue la vita della comunità nel tempo e nello spazio come se si trattasse di un essere unico che sa ogni cosa, e che perirà soltanto al morire della terra stessa (tutto ed uno, una cosa soltanto). Ogni cellula vivente contiene tutta l’informazione necessaria, da ciascuna nostra cellula si può estrapolare il nostro dna: pare più di un’analogia. La formica è in un certo senso un essere mistico. E’ completamente dedita alla grande religione primitiva, pur non essendone cosciente: il totemismo. Il totemismo è la prima ricerca e la prima conquista, da parte di ciò che muore, di ciò che non muore affatto.

Il totem era l’anima collettiva della tribù. I nostri più antichi progenitori credevano le loro anime al sicuro perché legate al totem. Alla morte dell’individuo il totem, anima collettiva immortale, recuperava quella particella emanata da lui per far vivere una esistenza passeggera. Il totem della formica è lo spirito del formicaio. Ad ogni livello di complessità emergono PROPRIETA’ NUOVE che non hanno nulla a che vedere con le proprietà del livello precedente. Il tutto è, come già detto, maggiore della somma delle sue parti. 

Il formicaio andrebbe visto alla stregua di un unico “individuo”, le cui cellule, a differenza di quelle del nostro corpo, sono dissociate, disseminate, restando però vincolate alla legge centrale, a dispetto dell’apparente indipendenza. Potrebbe infatti essere presente una rete di connessioni e relazioni elettromagnetiche, eteree e/o psichiche. 

 Oltre alla legge centrale esistono però le influenze ambientali, climatiche, territoriali, le interazioni e relazioni con altre specie di formiche (guerre, convivenze pacifiche, invasioni, scambi, imboscate, schiavizzazioni) e con altri animali, meccanismi di retroazione (o feedback). Esiste perciò un orientamento generale, una legge generale ma allo stesso tempo una grande flessibilità, ricettività, dinamismo, apprendimento, adattabilità, elasticità, retroazione che spiegano forse come mai esistano fino a dodicimila specie di formiche (stessa cosa si era vista per le dinamiche dell’albero, dei rami, delle foglie, e delle radici). 

Esistono dei meccanismi e delle forze interne a questo “individuo” che ne regolano la sua stabilità: ad esempio il numero di femmine fecondate che sono indispensabili. E ancora, quando c’è il volo nuziale esiste una polizia previdente e ben organizzata che vigila agli ingressi e nelle vicinanze del nido, ed impedisce che tutte le femmine spicchino il volo senza ritorno. Non deve accadere che la città resti senza giovani madri, svuotata di ogni avvenire. Il fenomeno della sete o fame collettiva (nostre proprietà emergenti) presente simultaneamente nel nostro organismo in tutte le cellule è un esempio di ciò che si verifica in un formicaio: esiste una vita collettiva, un’intelligenza collettiva.

Noi siamo un essere collettivo, ma non sappiano nulla chi comandi, regoli, armonizzi tutto ciò, la nostra vita organica. Nel formicaio un’idea viene accettata solo se sembra buona, non esistono un’intesa prestabilita o un accordo innato, ma solo apprezzamenti e giudizi dati sul momento, di fronte all’opera. Nel formicaio tutto funziona all’insegna dell’unità e dell’amore, ma di quell’amore vergine e disinteressato di cui avremo difficilmente nozione. Il grande segreto dell’armonia sta nell’affetto reciproco e nell’affetto comune per le larve. 

Esiste un amore materno profondo, un eroico matriarcato che si manifesta fin sulle uova, protette e difese a costo di morire. Il centro di gravità della felicità e della coscienza non risiede nell’individuo, ma dappertutto dove si muove una cellula di quell’insieme di cui l’individuo fa parte. La formica è incontestabilmente uno degli esseri più nobili, ardimentosi, caritatevoli, devoti, altruisti e generosi che la terra conosca.

 Possiede nell’addome una tasca straordinaria dove contiene il cibo collettivo, per tutte le altre, che viene dato attraverso un rigurgito. Le formiche si appiccicano al soffitto del formicaio e rigurgitano benevolmente tutta la loro sostanza per il beneficio di tutte le altre. Il rigurgito è l’atto fondamentale donde derivano la vita sociale, le virtù, la morale e la politica del formicaio. Noi non abbiamo un organo fisico altruista come le formiche; la nostra legge vitale la superiamo quando doniamo. Il nostro organo altruista non è fisico, lo possediamo nello spirito e talora nel cuore. Tuttavia, non essendo fisico, rimane senza efficacia.

 Le religioni erano come l’esca o lo schizzo di un organo altruistico e collettivo che prometteva in un altro mondo le voluttà che la formica sente in questo nell’atto di donarsi. Noi stiamo estirpandole: non ci resta quindi che l’organo egoista e individuale dell’intelligenza. Se introduciamo in un formicaio artificiale formiche della stessa specie (ma prese da due nidi diversi) inizialmente si combattono, lottano, poi progressivamente scocca la pace, riconoscono l’inutilità dei loro atteggiamenti, e diventano una sola famiglia (tra specie diverse si è osservato che la pace è un processo leggermente più lento). Inizia una fratellanza talmente forte che persino l’architettura del nido ne risente (diventa un qualcosa di misto).

E’ la stessa cosa che succede quando perturbiamo un qualsiasi sistema con dinamiche complesse: inizialmente si crea una turbolenza, un disordine inequivocabile, poi l’ordine complesso si ristabilisce con tutta la sua struttura, mantenendosi lo stesso equilibrio dinamico, modificandosi qualitativamente, spezzandosi per creare nuovi equilibri, o addirittura fondendosi con altri equilibri [v. 1.11]. Esistono continuamente delle forze che spingono verso l’ordine e l’equilibrio benché siano spesso difficili da identificare o comprendere. Ad ogni livello di organizzazione e di complessità, agiscono forze che allontanano dall’equilibrio e forze che avvicinano all’equilibrio. 

Tanto più lontano siamo spinti fuori dal sistema, tanto più intensamente qualcosa ci richiama al nostro centro. Analogamente, quando siamo prossimi all’equilibrio ci sono delle energie, delle forze repulsive che ci spingono fuori, altrove, lontano (è un po’ quello che succede anche a livello subatomico). La nostra vita è una sintesi perfetta di tutto questo. Spesso capita che nei momenti di maggiore serenità e benessere ci accadano eventi dolorosi, situazioni difficili e provanti. Allo stesso modo nei momenti più duri si imparano cose bellissime, si cresce, si comincia a vedere nel vero senso della parola.

 Esiste il simbolo dei “tai chi” che sintetizza un po’ tutto questo. E’ un simbolo dinamico, in continua rotazione e movimento. Nella sua parte bianca è conservato un puntino nero, nella sua parte nera un puntino bianco. Nel bianco è racchiuso il nero come un seme, nel nero c’è il seme del bianco. E si passa facilmente da uno all’altro, dal maschile al femminile, dallo yang allo yin, in un tutto interconnesso, dove le distinzioni non sono così nette, drastiche, drammatiche. Nero e bianco comunicano in una curva ad S non lineare, non sono divisi da un taglio netto linear-euclideo.

Si tratta di un equilibrio dinamico, tutto in incessante movimento, la quiete non esiste, e quando esiste è morte, linearità, staticità, niente che pulsa, elettrocardiogramma piatto. Nel grado di azione e comprensione lineare vivono ancora gli opposti: tutto bianco o tutto nero, yin o yang, maschile o femminile, luce o buio, caldo o freddo, facile o difficile, salita o discesa, amore od odio, dentro o fuori, aperto o chiuso, essere o non essere, lineare o non lineare, statico o dinamico, deterministico o casuale. 

Ad un nuovo livello di comprensione, come per magia, spariscono tutte le “o” ed ogni distinzione perde di significato. Il tutto fa parte di un’unica cosa, sta tutto all’interno di un grande equilibrio nel quale ogni dicotomia, ogni contrapposizione si rivela per quello che è: un ragionamento banale, mentale, di una mente limita e ancora incapace di vedere. Ma anche tutto questo è necessario, perché è proprio attraverso le distinzioni, le classificazioni, il linguaggio costruito dall’uomo che abbiamo la possibilità di comprendere tutto questo. Una volta compreso, una volta valutato che è solo uno strumento nel nostro percorso, ce ne possiamo tranquillamente liberare, od usarlo solo quando ci serve.
“QUANDO IL CORVO TOLSE LA COPERTA DELL’OSCURITA’ DAL MONDO, TUTTE LE COSE, LE ROCCIE, GLI ANIMALI, LE PIANTE E GLI UOMINI, SI ACCORSERO DI ESSERE DIVERSI PUR PROVENENDO DALLA STESSA MADRE; E ANCHE OGGI CI VEDIAMO E RICONOSCIAMO LA NOSTRA DIFFERENZA, MA NON BISOGNA DIMENTICARE IL TEMPO IN CUI ERAVAMO TUTTI UNITI”


da "Il Fattore C" di Stagnaro e Caotino

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